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ImageNati nel 1997 come progetto parallelo ai Three Mile Pilot, i Black Heart Procession sono diventati quasi subito un’idea forte. Attorno all’immagine di una ‘processione del cuore nero’ Pall A Jenkins e Tobias Nathaniel hanno creato un vero e proprio mondo, una specie di California al negativo (i due sono di San Diego): al posto delle spiagge ci sono montagne impervie, al posto dell’eterna estate dei Beach Boys un infinito inverno, e al posto della bella gioventù abbronzata creature pallide e sofferenti. Detto così, si potrebbe parlare di piccolo manuale del miserabilismo e in effetti la musica proposta nei primi tre lavori del gruppo (indicati semplicemente da numeri cardinali in sequenza) non si può dire allegra.
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ImageNon contiene canzoni commoventi come “Boulder to Birmingham” (sul precedente “Pieces of the Sky”) o “Pancho & Lefty” (sul successivo “Luxury Liner”), tuttavia “Elite Hotel” è l’album meglio strutturato della carriera di Emmylou Harris. Bella (nell’aspetto) e impossibile (nell’abbigliamento), la cantante dell’Alabama è, nel 1975, ancora sotto l’influsso artistico e spirituale di Gram Parsons, il grande innovatore della musica country da lei accompagnato e sostenuto negli ultimi passi di una carriera prematuramente interrotta.
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ImageBizzarra parabola quella di Roger Nelson da Minneapolis in arte Prince: alternativa sexy-diabolica al candido e predestinato Michael Jackson, mentre quest’ultimo iniziava una folle discesa all’inferno, lui sceglieva di scomparire dietro un simbolo (The artist formerly known as Prince), nell’incapacità di controllare la sua torrenziale e oscillante vena creativa. Erede post-moderno del lato ribelle e provocatorio del funky (più James Brown che Stevie Wonder, pur condividendo con quest’ultimo la capacità di suonare tutti gli strumenti), l’unico artista nero in grado di coniugare perfettamente il passato della black music con il futuro techno, dopo i primi due interlocutori album, realizza un trittico (“Dirty Mind”, “Controversy”, “1999”) che lo identifica come un’icona ambigua e scandalosa, autore di canzoni oscene spesso vietate in radio per i contenuti troppo espliciti e libidinosi.
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ImageQuando entrano a far parte della potente squadra discografica di David Geffen, i Lone Justice hanno messo in mostra un talento genuino e accattivante. Per un paio d’anni, tuttavia, solo gli assidui frequentatori dei piccoli club della west-coast hanno potuto apprezzare la forza comunicativa e la passione con cui interpretano classici del rock e della tradizione di Nashville. La formazione dei Lone Justice fatica a stabilizzarsi, ma il loro punto di forza è, fin dagli esordi, la voce da bambina impertinente, eppure così incantevole e profonda di Maria McKee, giovane artista dai magnifici occhi azzurri, ben inserita nel circuiti musicali di Los Angeles.
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ImageA quanto pare erano in tanti a volere bene a Nikki Sudden. Della sua scomparsa (26 marzo) si sono occupati  persino i quotidiani d’opinione, quelli che considerano Morrissey  il massimo dell’esoterismo sonoro. Anche il sito dedicato al musicista è rimasto bloccato per giorni a causa delle troppe richieste d’accesso. Viene da chiedersi come mai, visto che di musicisti bravi ma marginali la storia del rock è piena.
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ImageGli anni ’80 in musica sono stati una bestia assai diversa rispetto ai decenni immediatamente precedenti. Proprio in quel periodo si è consumata con più forza la frattura tra musica emersa e “commerciale” e musica sotterranea e “alternativa”. In precedenza, la relativa semplicità del mercato musicale rendeva assai sfumata la distanza tra classifica, gusti del grande pubblico e ricerca musicale.

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ImageAppena un anno dopo l’uscita di ‘Hark! The Village Wait’, la nuova creatura di Ashley ‘Tiger’ Hutchings si trova nella necessità di sostituire Gay e Terry Woods, diretti verso la carriera  solista, e al contempo registrare un nuovo album per sfruttare il momento magico del folk rock inglese e del gruppo stesso.

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ImagePrimi anni ottanta, l’onda anomala del punk è ancora in piena attività. Con sistematica pervicacia, colpisce ovunque, in Gran Bretagna come negli Stati Uniti e trascina nel suo vortice irrequieto un numero imprecisato  (ma certamente elevatissimo) di artisti e di semplici appassionati. Non sfugge al fascino irriverente del punk neppure una piccola band americana, i Violent Femmes, formata da giovanissimi musicisti di Milwaukee attratti dalle sonorità del punk, ma anche dalla psichedelica schietta essenzialità del folk.

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ImageParlando di poesia con l’uomo delle tasse”: un titolo che riassume benissimo la forza e la spinta della musica di Billy Bragg. Una combinazione capace di unire melodia, poesia, realismo e società  in un unico girotondo elettrico. Billy è, al fondo, un cantautore vecchia maniera: prende spunto dalla realtà che lo circonda e la filtra attraverso una chitarra. Fornisce a chi ascolta un bollettino in versi sullo stato delle cose.

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ImageBaia di San Francisco, tardi anni sessanta:bastano questi scarni riferimenti spazio-temporali per evocare un’atmosfera di irripetibile dinamismo e creatività. Sono gli anni in cui nella città californiana riecheggiano sonorità nuove e ammalianti, quelle dei Greateful Dead, Jefferson Airplane, Janis Joplin e di altre band destinate a entrare a pieno titolo nella storia del rock. In quel periodo, Carlos Santana è un giovane chitarrista d’origine messicana, molto presente nella scena musicale di San Francisco.
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ImageAutentici portabandiera del folk irlandese degli anni '80, i Pogues hanno portato una meravigliosa ventata di novità nel panorama della musica tradizionale "riveduta e corretta". Cresciuti intorno al carisma di Shane MacGowan, figura irripetibile di poeta ubriacone dotato di una voce e di una capacità compositiva senza eguali, gli otto figli dell'Isola Verde fanno parte di quella schiera di musicisti che hanno avuto l'ardire di portare qualcosa di completamente nuovo laddove si era già ascoltato tutto e il contrario di tutto.
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Image“Philophobia” è stato il disco rivelazione degli Arab Strap, e anche quello che li ha confermati come nome “caldo” della scena scozzese. Il duo di Glasgow, formatosi nel 1995, ma attivo discograficamente solo dal 1997, aveva fatto intendere con l’album “The Week Never Starts Round Here” di essere in possesso di una vena compositiva e di un’espressività singolari. Smussati gli spigoli dell’esordio e trovando una simbiosi perfetta tra un mix di arpeggi, accordi dolci e leggeri, quasi minimali, e arrangiamenti elettronici di Malcolm Middleton, i due bardi d’oltremanica sono riusciti a dar vita a uno dei capolavori della musica inglese degli anni 90.
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ImageQuando tutto era così giovane da andare velocissimo, bastavano pochi mesi per passare dalla semplicità delle canzoni beat alla grandiosità dell’opera rock. Non a caso, resta ancora in piedi la vexata quaestio su chi abbia realizzato il primo album concept, se gli Who di “Tommy”, i Pretty Things di “S.F. Sorrow” o i Kinks di “Arthur” (la cosa in realtà importante è che l'idea di sfidare l'ebbero più o meno tutti insieme  .
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Image Bei dischi ne escono a bizzeffe. Anche “capolavori”, se vogliamo cedere al dilagante ottimismo critico. Non si può dire però che la modernità in musica abbia regalato tanti punti di riferimento per il costume: musicisti capaci di andare oltre gli accordi, per creare un universo in cui il pubblico potesse riconoscersi. In passato accadeva: i Ramones, o i Sex Pistols, univano alle canzoni un’identità “a tutto tondo”; gli Smiths non sarebbero diventati gli SMITHS senza le pose romantiche di Mr. Morrissey; l’hip hop non avrebbe conquistato il mondo prescindendo dal contorno. Oggi stili ce ne sono fin troppi; i rimandi sono sempre presenti ma raramente univoci; il musicista “di culto” non è più la figura rara e potente che era un tempo.
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ImageSulla carta, John Barleycorn avrebbe dovuto segnare l’inizio della carriera solistica di Stevie Winwood e visto il precoce e solido eclettismo del giovane musicista inglese, i presupposti  erano più che incoraggianti. Dopo lo Spencer Davis Group, i Traffic e la fugace parentesi dei Blind Faith, Winwood sembra intenzionato a trovare una dimensione espressiva autonoma, capace di cogliere l’essenza della sua produzione discografica precedente: una perfetta sintesi di rhythm’n’blues, pop e sonorità progressive. La ricerca dei collaboratori, però, induce Stevie Winwood a compiere un inaspettato passo a ritroso: chiama accanto a sé Chris Wood e Jim Capaldi, con i quali ha condiviso l’esperienza, ufficialmente archiviata, dei Traffic.
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Image L’ album finale dell’avventura Swans, un doppio di lunga durata, è sicuramente la pietra milare del gruppo dell’ensemble guidata da Michael Gira,, da 25 anni esponente di spicco dell’avanguardia rock newyorkese insieme ai più popolari Sonic Youth.
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ImageGrazie al sapiente ed efficacissimo assemblaggio di riferimenti alla mitologia western, sonorità country-rock e mere esigenze di mercato, gli Eagles arrivano ad assaporare il successo con Desperado, un album che fin dalle belle immagini di copertina rivela abilità, talento e scaltrezza. Manca ancora qualche anno alla celebrità planetaria che la band otterrà con Hotel California, ma Don Hanley, Glenn Frey e Bernie Leadon cominciano già ad occupare uno spazio significativo nel song-writing californiano dell’epoca. Le loro ballate romantiche e fortemente evocative hanno un notevole appeal e riescono a sedurre in modo garbato e intrigante.

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ImageFatta eccezione per Adam Ant (che però era troppo frivolo) e John Foxx degli Ultravox (troppo algido), il circuito punk e new wave britannico di fine anni ’70 non produsse alcun sex symbol. A cambiare le cose arrivò nel 1980 il faccino intenso e imbronciato di Ian McCulloch. Colui che in breve divenne per tutti “Mac” era il cantante di Echo & The Bunnymen, la formazione che, insieme ai Teardrop Explodes,  riportò la città di Liverpool sulla mappa del rock dopo una decennale stagnazione seguita all’apoteosi beatlesiana. In origine il gruppo era formato da tre musicisti in carne e ossa (i Bunnymen) e una drum machine (Echo). Fu dietro suggerimento di Seymour Stein (colui che in America aveva messo sotto contratto Ramones e Talking Heads) che entrò in scena un batterista vero, il pregevole Pete De Freitas. A questo punto arrivò l’opera prima “Crocodiles”, apice artistico del quartetto e uno dei più bei dischi della new wave tutta. In quei dieci brani Mac e compagni riuscirono ad azzeccare un’irresistibile fusione di melodicità e ansia (“Villiers Terrace”), di bella forma canzone e pessima forma psichica (“Rescue”).
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Image Ed Harcourt ha una storia solita, per i genietti irregolari della canzone d’autore: ha costruito negli anni un bagaglio di canzoni e melodie infinite, provando e sperimentando con i suoni in una grande casa della Cornovaglia. Con questa dote, si è buttato nell’agone del mercato musicale con un’uscita defilata e minore, l’EP “Maplewood” che gli regala i primi plausi di critica e (smilzo) pubblico.Ascoltandolo, sembra di trovarsi davanti ad una versione anglosassone e meno ruvida di Tom Waits; il banjo e il pianoforte disegnano i confini delle canzoni che spaziano da esercizi tradizionali a episodi più pop e masticabili.
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Image I Dirty Three, trio australiano formato da Warren Ellis al violino, Mick Turner alla chitarra e Jim White alla batteria, a partire dal loro esordio,hanno immediatamente colpito per la passionalità e la travolgente forza evocativa della loro musica. Laddove i suoni della totalità delle nuove formazioni strumentali sono il prodotto di uno sforzo cerebrale , i Dirty Three mettono in campo l’anima: un’anima nera, romantica e crepuscolare che affonda le proprie radici nel rock ma che, attraverso un’esecuzione impetuosa, riesce a trasformare l’ordinario in straordinario, a creare paesaggi sonori singolari di una bellezza che trascende il tempo. Il gruppo di Melbourne ha prodotto uno stile tra i più significativi dello scorso decennio:un rock da camera che coniuga jazz, blues, country e avanguardia con un atteggiamento scenico non lontano da quello del primo Nick Cave.“Ocean Songs”,il loro quarto disco, è forse l’album più riuscito, ma qualsiasi opera del gruppo merita di essere presa in considerazione.
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ImageLa repubblica del Bangladesh fu proclamata il 26 marzo 1971 in seguito alla scissione dal Pakistan, di cui costituiva la regione orientale, al termine di una sanguinosa guerra civile. I profughi e una terribile serie di piogge torrenziali portarono il paese sull’orlo del disastro. Ravi Shankar pensò di chiedere aiuto a George Harrison per raccogliere fondi e dopo due singoli incisi per la Apple, decisero di organizzare un concerto al Madison Square Garden di New York. I primi ad essere contattati furono i  tre restanti Beatles, ma per vari motivi solo Ringo Starr (qui in versione originale Richard Starkey) accettò. Il 1 agosto 1971, di fronte a quarantamila persone, fu lo stesso Shankar ad aprire l’evento con un recital di 25 minuti.
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ImageQuesta raccolta vide la luce nell'aprile del 1979 ad opera dell'etichetta Antilles e fu accolta negativamente sia dal pubblico che dalla critica. "No New York", invero, stravolse irrevocabilmente l'ortodosso approccio alla musica elevandone la componente rumorista al rango di materia di interesse; tale spostamento di obiettivo avrebbe rappresentato una delle più importanti intuizioni della storia del rock dai tempi dell'esordio omonimo dei Velvet Underground & Nico e trovato proseliti presso importanti  musicisti degli anni Ottanta, da John Zorn  a Swans e Pussy Galore.
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Image Negli anni 70 il disco dal vivo, possibilmente doppio, era una sorta di passaggio obbligato per ogni solista o gruppo rock degno di questo nome; era anche l’inevitabile riflesso dell’affermazione di un nuovo modo di vivere la musica, con i megaraduni della Woodstock-era e con tournée che sembravano spostamenti di tribù con usi e costumi autoctoni e che trasformavano ogni concerto in un enorme festa a base di pace, amore, alcol e droghe di tutti i generi.
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Image Costosi, ingombranti, destinati a essere ‘ascoltati bene’ solo al momento di un miraggio chiamato pensione, i cofanetti attirano tuttavia un’irresistibile attenzione sui compratori. E’ quanto sta accadendo anche con “A Musical History”, mastodontico tributo alla Band, articolato in 5 cd e 1 dvd con librettone di 108 pagine pieno di foto. Chi non voglia farsi schiantare dal peso di tanta storia può cominciare ad ascoltare  il primo capitolo di quella storia, “Music From Big Pink”.
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Image Terminata nel 1953 l’esperienza del ‘pianoless quartet’ insieme a Gerry Mulligan (con la breve reunion nel 1957), Chet Baker inizia una carriera solista che, anche grazie alla sua bellezza, lo trasforma in una vera e propria star. Suona la tromba con un lirismo e una fragilità che sembrano essere il riflesso dell’immagine che William Claxton ripetutamente immortala in splendidi scatti in bianco e nero. Ma nel 1959 ha già conosciuto a più riprese il carcere per l’uso di droga (la causa del suicidio che metterà la parola fine alla sua drammatica parabola di vita) e in una di queste occasioni sarà Bill Grauer, produttore della Riverside, a pagare la cauzione per farlo uscire e metterlo sotto contratto con la sua etichetta per la quale inciderà quattro dischi.
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ImageI Supergrass di Oxford irrompono sulla scena, prima britannica poi mondiale, in piena euforia “brit-pop”. Dopo l’americanità pronunciata che i Nirvana avevano portato nell’aria musicale dei primi anni ’90, Londra stava, sull’onda del successo di gruppi come Oasis e Blur, riconquistando il titolo di capitale mondiale del pop rock. La ricetta Supergrass era semplice e diretta: canzoni svelte e orecchiabili, arrangiamenti giocosi, allegria e gioventù a piene mani. E funzionava, funzionava benissimo.
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Image Si può dire sia questo l’album che sancisce l’inizio della fase ‘europea’ nella carriera dei Walkabouts. Non che prima del 1995 la formazione di Seattle fosse un nome ignoto dalle nostri parti, tuttavia il contratto con la Sub Pop sembrava poter dare loro una certa visibilità in patria. Non andò così a dispetto di album di grande qualità come “Scavenger”, “New West Motel” o “Satisfied Mind”. Forse si trattò semplicemente di sfortuna: un gruppo che, in pieno boom del grunge, arriva dalla città ‘natale’ del grunge, incide per la  tipica etichetta grunge, ma suona musica che con Nirvana e Pearl Jam centra poco o nulla. 
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Image Peccato che l’aggettivo”epocale” sia usato così spesso a sproposito o in male fede. Quest’abuso logorante e fastidioso impedisce di applicarlo anche laddove sarebbe necessario. Ma in alcuni casi bisogna abbandonare ogni remora linguistica: se esiste un lavoro per molti aspetti epocale nella storia del rock, quello è Sticky Fingers
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ImageLa Rhino ristampa finalmente in versione rimasterizzata una delle pietre miliari della musica rock in un doppio cd contenente, oltre all’album originale, le migliori takes delle sessions di “Fun House”, prima reperibili interamente solo in un cofanetto di sette dischi. Una riedizione che restituisce all’ascoltatore l’autentico valore dell’opera in un’esperienza sonora incredibile con le chitarre distorte  dei fratelli Asheton che risuonano in una potenza che sorprende ancora.

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Image“Per quanto ancora potremo tollerare l’omicidio di massa?” si chiedeva Mark Stewart nel 1980. “Lo tolleriamo ancora,” è la risposta 25 anni dopo. Voleva essere antiutopistico l’allora giovane estremista di Bristol. Voleva colpire, ferire, far ridere a denti stretti. Era l’epoca in cui la new wave lasciava cadere i semi da cui sarebbero fioriti Spandau Ballet e Duran Duran (“per quanto ancora potremo tollerare certe reunion?”), il disimpegno impregnava l’aria e Stewart decideva di chiamare Pop Group una formazione che di pop non aveva proprio nulla. Il primo album “Y” (1979) è molto più violento di quanto qualsiasi heavy-trash-speed metal potrà mai essere.
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Image E’ probabilmente uno dei concerti più famosi della storia del jazz per via di quella signorina bionda che al suono del sax tenore di Paul Gonsalves e dei 27 chorus di “Diminuendo and crescendo in blue” si scatenò in una danza liberatoria che infiammo tutto il pubblico presente (racconta il figlio di Ellington che il padre fece eseguire il brano per svegliare il sassofonista da una delle sue storiche sbronze e fu così che nacque il primo dei chilometrici assoli tipici di Gonsalves).
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Image Solitamente questo spazio è dedicato alla scoperta, o al ricordo, di un capolavoro del passato più o meno prossimo. Ogni disco, si sa, porta dentro una storia; e talvolta vale la pena raccontarla. Questa prima metà del 2005 ha visto la pubblicazione, sotto forma di cofanetto, delle Peel Sessions dei Fall di Mark E Smith, longevi protagonisti della musica inglese, alfieri irregolari dei un’ipotesi rock anarchica e libera.
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ImageSi parla sempre troppo poco di Bud Powell, uno dei musicisti che hanno fatto la storia del jazz, probabilmente il più grande interprete be-bop sui tasti bianchi e neri del pianoforte. Così la pensava il suo grande amico Thelonious Monk che a lui dedicò “In walked Bud” e che gli regalo letteralmente (Monk la compose e non la eseguì mai) “52nd street theme”; così pensano ancor oggi lo stuolo di pianisti influenzati dal suo stile emozionante e lirico (da Oscar Peterson a Chick Corea, ma l’elenco potrebbe essere lunghissimo) e dalla sua tecnica straordinaria e mai fine a se stessa.

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Image Il canadese Leonard Cohen, dopo aver pubblicato due romanzi, “The Favorite Game” e “Beautiful Losers”, e altrettante raccolte di poesie, "Let Us Compare Mythologies" e "Parasites Of Heaven", viene incoraggiato con successo da Judy Collins a metterne in musica alcune: nasce cosi’, casualmente, la storia musicale di uno dei massimi poeti della seconda metà del novecento. Il cantautore di Montreal, dopo aver pubblicato i primi dischi “Songs Of Leonard Cohen” nel 1968 e “Songs From A Room” nel 1970,conclude la migliore trilogia della storia della musica d’autore con “Songs Of Love And Hate”; un disco in cui l'accompagnamento ha maggior rilevanza, le canzoni, piu` lunghe del solito, raccontano storie drammatiche e la voce di Cohen si sposa ancor meglio con clima dell’album, magistralmente descritto dal titolo.
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ImageSei anni consecutivi, come minimo, ai vertici delle classifiche di vendita e non solo negli Stati Uniti. Basta questo a decretare il valore e la pregnanza artistica di un disco? Forse no, ma l’immensa popolarità di Tapesrty deve pur essere suffragata da qualche dato che vada oltre l’aspetto banalmente commerciale. E certamente lo è. Carole King è un’artista giovane ma già molto affermata nei circuiti musicali internazionali quanto pubblica l’album che darà una svolta definitiva alla sua carriera.
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Image Ampliato l’organico fino a nove elementi e sostituito Kevin Ayers con Hugh Hopper al basso, i Soft Machine si presentano all’appuntamento con il terzo disco estremamente divisi, sia sul piano musicale, troppo diverse le loro intenzioni artistiche, che su quello umano, con Robert Wyatt e Mike Ratledge che durante le sedute di incisione non si rivolgeranno praticamente la parola: tanto che lo stesso Wyatt dopo un’apparizione poco più che nominale nel quarto album abbandonerà definitivamente il gruppo.
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Image A Dirk Hamilton la musica non ha garantito il successo e la popolarità. Sarebbe stato giusto il contrario ma talvolta la purezza e la dedizione non pagano. Per questo, il nome di Dirk Hamilton si limita a risvegliare i ricordi e l’ammirazione degli addetti ai lavori e di una ristretta cerchia di avveduti appassionati, tutti piuttosto maturi in quanto ad anagrafe.
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Image Triestino giramondo Enrico Rava incide il suo terzo disco per l'ECM nel marzo del 1978, quando ha appena abbandonato definitivamente New York per tornare in Italia. E' un momento di transizione per il jazz, sta finendo improvvisamente un'epoca, quella del free radicale che da noi si è identificata soprattutto nello sciagurato binomio del jazz politico. Rava si è tenuto sempre piuttosto a margine di questo pseudo-movimento e ha proseguito imperterrito un percorso che lo ha portato a recuperare un linguaggio per certi versi 'tradizionale', anche se inevitabilmente arricchito dalle esperienze personali.
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ImageJanis Joplin non ha fatto in tempo a vedere la pubblicazione di Pearl.e a goderne il successo. L’album che avrebbe dovuto segnare il suo trionfo definitivo viene pubblicato nei primi mesi del’71: troppo tardi, purtroppo, perché la vicenda umana di Janis Joplin viene stroncata dall’eroina nell’ottobre del’70, quando l’artista texana ha appena 27 anni.Troppa inquietudine, troppa insondabile sofferenza; Janis non ha saputo reggere il peso di un disagio esistenziale così intenso.
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Image Se il capolavoro “ufficiale” è, per opinione comune, “The Late Great Townes Van Zandt”, a ben guardare è “Flying Shoes” il disco più compatto e intenso del cantautore di Forth Worth, Texas. A metà anni ’70 qualcuno aveva davvero creduto che “il povero grande Townes Van Zandt” (questa la traduzione del titolo sopra menzionato) fosse morto. Non era vero però ci mancò poco.
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Image Bill Callahan, in arte Smog, è, insieme a Will Oldham in arte Palace, il protagonista della resurrezione del cantautorato americano negli anni ’90. Partendo da premesse per nulla ortodosse, i primi dischi raccontano di un suono insieme raffinato e dissonante, Bill arriva con “The Doctor Came At Dawn” a confezionare un album che potrebbe dirsi classico (l’impalcatura sonora è quella essenziale del binomio voce/chitarra) ma classico non è.
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Image Prima di diventare bravo a intrufolarsi nelle colonne sonore di film dal successo superiore alle aspettative (“Amelie”, Goodbye Lenin”), Yann Tiersen ha inciso alcuni bei dischi, “Rue Des Cascades” e “La Valse Des Monstres” e un capolavoro “Le Phare”.  Perché un’affermazione così positivamente drastica? Intanto perché in “Le Phare” non c’è una nota, un arrangiamento fuori posto, perché tutto è impeccabile in ogni dettaglio, in ogni sfumatura.

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ImageNei classici si scopre sempre qualcosa di nuovo. Una frase tanto banale da essersi meritata un’ironica citazione del Woody Allen scrittore, ma di sicuro efficace. Capita, ad esempio, di riascoltare l’opera prima di John Prine e scoprire che due brani  mai considerati di prima schiera sono invece piccole meraviglie: “Illegal Smile” rende superfluo qualsiasi dibattito sulle sostanze psicotrope grazie a una deliziosa andatura dondolante e versi come “Ho sognato che la polizia ascoltava tutti i miei pensieri”.
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ImageRy Cooder è certamente una figura di primo piano della musica americana contemporanea. Nella sua lunga carriera ha fatto tutto ciò che un musicista potrebbe desiderare e anche di più. E’ stato autore, interprete, sessionist, produttore, talent scout e musicologo di rango. Il suo virtuosismo di chitarrista è innegabile, la serietà e la competenza con cui ha affrontato lo studio dell’immensa tradizione musicale americana hanno pochi termini di paragone.
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Image Per chi ama la melodia, quella pura e definitiva, non disdegna un pochino di distorsione a disturbare le note e mantiene vivo in sé un lato romantico e stupito, i Teenage Fanclub sono una tappa irrinunciabile nella strada delle canzoni. Il gruppo scozzese, attivo fin dai primi anni ’90, riesce apparentemente senza sforzo in una missione quasi unica: rimanere semplice nel linguaggio e nell’apparenza, eppure suonare così speciale.
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Image A dieci anni dal deludente "Conversation Peace" e in attesa del nuovo e ulteriormente rimandato "A time to love", per i fans di "Little Stevie" (come venne chiamato quando esordì a dodici anni con un album dedicato a Ray Charles; a proposito il 13 maggio è il suo compleanno, sono 55, auguri!) non resta che guardare indietro, ad una lunghissima carriera costellata di grandi successi (anche in italiano con "Il sole è di tutti") e soprattutto ad un album che è entrato di diritto nella storia della musica di tutti i tempi: si tratta di "Songs in the key of life", doppio lp uscito nel 1976, che comprendeva anche un ep in formato 45 giri.
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ImageTre colori: bianco, nero, rosso: il bianco e nero di una strada deserta dominata da  un  cielo cupo e minaccioso, inquadrata tra il cruscotto e il vetro anteriore di un’auto; il rosso del filo che unisce le storie disperate di un’ America marginale,  oscura, segnata da sordide storie  di piccoli criminali, sogni spezzati,   esistenze allo sbando. Non c’è traccia di speranza in queste dieci scarne canzoni cristallizzate nella loro  forma primitiva, voce-chitarra-armonica, e fermate su nastro da un semplice registratore a quattro piste, adatto perlopiù a produrre dignitose versioni di prova.
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ImageDopo alcuni dischi che si limitavano a raccogliere i successi usciti su 45 giri, ma che avevano già entusiasmato la comunità black, James Brown si propose di immortalare su lp uno dei suoi show all'Apollo theater, in piena Harlem. Di fronte ai dubbi di Syd Nathan, il manager della King che non credeva alla possibile riuscita di un simile progetto, Brown decise di prodursi da solo: nonostante i limiti tecnici evidenziati da una registrazione approssimativa, quella sera Mr. Dynamite fu veramente esplosivo e riuscì nell’impresa di fotografare perfettamente tutta l’incredibile carica di energia di uno show dal vivo con quindici persone sul palco tra musicisti e coro (alcuni nomi: Les Buie alla chitarra; Al "Brisco" Clark e Clifford "Ace King" MacMillan al sax; Dickie Wells al trombone, e i Famous Flames con Bobby Byrd all'organo, Bobby Bennett e "Baby" Lloyd Stallworth alle voci).
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Image Scendendo le strette scale del Village Vanguard non si può fare a meno di immaginare tutti gli artisti che hanno reso quel minuscolo palco un autentico tempio, l’ultimo rimasto oggi a New York, del jazz. Qui sono stati incisi alcuni dei dischi più importanti della storia di questa musica, il live di Sonny Rollins per la Blue Note nel 1957, quello di John Coltrane con Eric Dolphy nel novembre 1961 e nel giugno dello stesso anno lo splendido canto del cigno del trio di Bill Evans con Paul Motian e Scott La Faro (che sarebbe tragicamente scomparso dieci giorni dopo in un incidente stradale).
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Image Definizioni per cercare di fissare la multiformità dei Godspeed You Black Emperor! ne sono state date tante (tipo “post rocker crimsoniani”), quindi una in più non guasterà. Si può perciò dire che i Godspeed (di Montreal, Canada) suonano punk sinfonico. “f#a#∞” è l’opera prima di questo ensemble ad organico folto e flessibile (di solito gli elementi sono 9 ma qui le note di copertina citano 19 nomi…) e funge da manifesto programmatico delle loro intenzioni.

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