Il Diario di Disco Club
I Motus Leavus si confermano amanti dei segni: per il debutto scelsero la Y come emblema dell’incognita (e della novità) mentre il nuovo disco cita la parola d’origine araba Sifr, ovvero lo zero, il nulla o il vuoto, come il silenzio che dà respiro alle partiture... Nella raffinata copertina ne vediamo il simbolo grafico, la semplice figura di un cerchio. Il trio genovese, di recente formazione ma già ben rodato, è composto da Tina Omerzo, che suona piano, tastiere e canta, da Edmondo Romano, con il suo bagaglio di fiati etnici e ‘’normali’’ e da Luca Falomi che porta chitarre acustiche, elettriche e oud. Si aggiungono in questa occasione il contrabbasso di Alessandro Turchet e la preziosa varietà percussiva di Max Trabucco. L’affascinante scaletta di Sifr si muove all’interno di sonorità piuttosto elastiche, con influenze che vanno dalla world music al jazz più strutturato, con i tre musicisti che stanno ben lontani dallo sterile virtuosismo, crescendo in coesione anche rispetto al notevole debutto di tre anni fa. Le canzoni danno equilibrio al repertorio e provengono tutte dall’area balcanica, come la popolarissima Jovano Jovanke; tutte sono cantate da Tina Omerzo, genovese ma originaria della Slovenia, che firma anche l’originale Misel Vode. Tra gli strumentali emergono la delicata Kukuk Kus, di Romano e la riflessiva La tredicesima ora, di Falomi. Nelle note di copertina troviamo la produzione di qualità a cura di Pivio & Aldo De Scalzi, la maestria alle manopole di Stefano Amerio, il tutto per un disco curato in ogni aspetto: ideazione, esecuzione, suono e grafica. (Fausto Meirana)
Il nome di Alasdair Roberts è ormai consolidato nell’ambito del nuovo folk revival; d'altronde il quarantasettenne scozzese rumina in quel campo da più di vent’anni. Figlio d’arte, Roberts ha cominciato con gli Appendix Out (tre dischi del tutto godibili anche se ovviamente acerbi), quindi ha iniziato una fruttuosa carriera solista. Non solo ha affrontato materiali tradizionali, ma ha spesso composto brani originali nello stesso stile, collaborando con artisti molto diversi. Ricordo solo l’amicizia con Bonnie Prince Billy e Jason Molina, con i Trembling Bells e le deviazioni dal sentiero tracciato con i norvegesi Volvur o i francesi Tartine De Clous. Dotato di una caratteristica voce, cui magari bisogna fare la tara, Roberts si presenta in questo nuovo episodio in perfetta solitudine, riservando l’intero disco a brani tradizionali, come successe nell’esordio solista, The Crook Of My Arm (2001). L’accompagnamento alla chitarra è particolarmente efficace e dimostra la padronanza della tecnica, tuttavia in una manciata di brani troviamo i tasti del pianoforte a sostituirla. Una piacevole, inconsueta variazione che dà equilibrio e respiro all’intera opera. Le dodici canzoni provengono in gran parte dalla terra natìa, con qualche contributo dalla vicina Irlanda e uno dalla più remota Prince Edward, un’isola al largo del Canada. Gli argomenti sono disparati, ma consueti all’interno del canone: amore (e non amore), avvenimenti soprannaturali, mucche scomparse e tragedie a volontà… Per gli appassionati, una prova che conferma il talento di Roberts, ormai alla pari di grandi nomi come Martin Carthy o Andy Irvine, per nominarne solo due. (Fausto Meirana)