Prima di diventare bravo a intrufolarsi nelle colonne sonore di film dal successo superiore alle aspettative (“Amelie”, Goodbye Lenin”), Yann Tiersen ha inciso alcuni bei dischi, “Rue Des Cascades” e “La Valse Des Monstres” e un capolavoro “Le Phare”. Perché un’affermazione così positivamente drastica? Intanto perché in “Le Phare” non c’è una nota, un arrangiamento fuori posto, perché tutto è impeccabile in ogni dettaglio, in ogni sfumatura.
Questo potrebbe non bastare, giacché in molti casi la perfezione è accompagnata da freddezza o autocompiacimento. Al contrario, ognuno dei quattordici episodi, in gran parte strumentali, che compongono l’album è un tripudio di emotività sonora e visiva (proprio quest’ultima verrà bene in seguito al musicista bretone). Tiersen è bravissimo ad arrangiare i pieni orchestral-popolari di “Le Quartier” (banjo, oud, violino, oltre a “pentole grandi e medie”) ma sa quando una melodia funziona bene solo con melodica e piano (“La Dispute”). Ci sono momenti in cui il violino si lascia catturare dalle danze popolari irlandesi (“Le Fromveur”), altri in cui evoca, insieme al piano, atmosfere da ‘700 classico. E anche quando si muove in ambiti che ricordano un Michael Nyman più lirico (“la Chute”), Tiersen riesce a essere molto poetico e poco didascalico. Tutto ha senso, tutto si muove in sincronia, comprese le due strane “canzoni”, “La Rupture” e “Monochrome”, che vanno a ripescare i suoni anni ’80 di Cocteau Twins e Cranes e intanto cercano sintonie con la canzone d’autore contemporanea. Cento mondi affascinanti racchiusi in quarantaquattro minuti. Cosa chiedere di più? (Antonio Vivaldi)