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L’imponente figura di Guccini, in un bianco e nero senza mezzi toni, è colta dall’obiettivo in una posa meditativa, forse dubbiosa, che rappresenta bene il contenuto del disco; mentre “Folk Beat N.1” era penalizzato dall’alternarsi di grandi canzoni e brani ancora acerbi, in “Due anni dopo” le intenzioni del cantautore di Pavana sono più precise e cercano, nell’omogeneità sostanziale del repertorio, una collocazione personale, non lontana, a tratti, dal primo De André e dagli chansonnier francesi. Un diffuso malessere esistenziale ricorre nei testi di tutte le canzoni fatta eccezione per “Al trist”, strambo blues in dialetto posto a chiusura del disco, nel quale trova infine spazio l’ironia. La noia della vita di provincia, le prime delusioni adolescenziali e politiche, la crisi della coppia, il rapporto con i genitori; sono le vertenze più sentite in quegli anni; su questi temi, Guccini impernia tutta l’opera, utilizzando al meglio la sua già roboante scrittura, densa di immagini e ricca di parole, mai trita o banale.
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