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I nostri preferiti Rock JEFF BUCKLEY - Grace (Columbia 1994)
 

JEFF BUCKLEY - Grace (Columbia 1994) Hot

ImageIl decennio passato ha assistito all’ascesa e al declino di innumerevoli stili musicali, fatui revival e infiniti passaggi di meteore delle quali nessuno più si ricorda. C’è stato però un’autore che, lontano da mode e pose superficiali, con un solo disco ha creato un vuoto assoluto intorno a sè, lasciando con la propria prematura morte un segno indelebile. Figlio del grande cantautore Tim Buckley, autore negli anni Settanta di una manciata di dischi nei quali si fondevano psichedelia, folk e improvvisazione per creare una musica tra le più originali di sempre, Jeff, apparentemente incurante di un confronto con la greve figura paterna, ne eredita comunque la voce espressiva, delicata e potente. Appena si ascoltano le prime note di Mojo Pin, la canzone che apre Grace, ci si accorge immediatamente del lirismo che pervade l’intero disco, e ci si lascia rapire da una voce straziante ed emozionante fuori dal tempo.
Ma non è solo l’originale modo di cantare a rendere questo disco immortale. I testi esprimono una malinconia non stereotipata che non scade mai nell’autocommiserazione, ma al contrario riescono, nella loro essenzialità, a creare un’atmosfera che rimanda ad amori lontani e disperati, ad addii falliti e a strazianti speranze. Anche l’interpretazione e la scelta delle cover, Hallelujah e Lilac Wine in particolare, sono talmente efficaci da oscurare le pur illustri versioni originali. C’è poi una canzone che da sola vale l’intera opera, Lover, you should’ve come over: uno di quei pezzi nei quali il testo iper romantico e il sentimento che pervade la sua voce, fanno venir voglia di buttar via tutti i dischi che si possiedono per riascoltarla all’infinito. (Giacomo Calamari)

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