Nel 1970, quando la discografia ancora concedeva spazi ad inquieti talenti, Nico pubblicava il terzo album solita "Desertshore". Modella preferita di Chanel, icona nella factory di Andy Warhol, cantante nell'epico primo lavoro dei Velvet Underground, “sorella spirituale” di Jim Morrison, con cui condivise tumultuose esperienze psichedeliche e per il quale -si narra- arrivò a tingere i lunghi capelli biondi di rosso fiammeggiante, Nico attraversò la scena musicale newyorkese degli anni '60 con abbacinante fulgore. L’aiutarono l'indiscutibile fascino e le prestigiose frequentazioni, tra le quali va ricordato un Bob Dylan da lei reclutato a baby sitter del figlio Ari. Ma Christa Paffgen (questo il suo vero nome) fu anche artista carismatica e stupefacente, almeno prima che il crescente consumo di droghe ne reclamasse amorosa dedizione per un ventennio. Produsse il suo più grande lavoro coadiuvata dal vecchio sodale John Cale, tra cattedrali sonore forse meno oscure del precedente "The Marble Index" ma altrettanto visionarie. Perle assolute sono "Janitor Of Lunacy", con i suoi affascinanti abissi vocali, "All That Is My Own", viaggio nel nessun luogo/unico luogo con alternarsi di parlati quasi infantili, e la dolcissima "Le Petit Chevalier", cantata da Ari (7 anni all'epoca). "Aschied" e "Mutterlein", scritte nella lingua madre tedesca, raccontano invece le immortali fiabe della Mitteleuropa, che trovano nell'inconfondibile timbro di Nico la perfetta voce narrante di volta in volta amorevole e temibile. Sono passati ben più di trent'anni da allora e il disco conserva intatte la liricità e la radicalità intrecciate alla vita di chi come Nico scelse di onorare la propria discesa con grazia struggente.
(Flavia Ferretti)
