Concerti

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Pat Metheny al Carlo Felice di Genova

Magia del suono in una notte d'autunno:

Il maestro è tornato. Già diverse volte in passato in Italia, terra che ama molto, Pat Metheny si è esibito martedì 29 ottobre al Teatro Carlo Felice di Genova. Una serata indimenticabile, davanti a un pubblico e appassionato e competente. Completamente solo – ma non si è sentita la mancanza di una band: del resto il PMG non esiste, di fatto, più, dalla scomparsa del grande (e compianto) Lyle Mays – Metheny ha portato in tournée i suoi ultimi due, splendidi album in studio, Dream Box (del 2023) e Moon Dial (uscito quest'anno). Due dischi – e la performance lo ha confermato pienamente – che sono anche il bilancio di un'intera carriera, volti a riattingere ed attualizzare i tanti approcci e stilemi artistico-musicali del passato. Ma, sempre, per guardare avanti, con il giusto orgoglio di chi ha fatto la storia, non solo di jazz rock e fusion. Ne è stato un felice esempio la persino commovente citazione da Phase Dance nel corso dell'esecuzione del primo brano.
Cosa può fare una chitarra? Quanto può fare? Sin dove può spingersi? Sono le domande che, con buona probabilità, devono avere spinto Pat negli ultimi due anni. Sorridente e gentile, come suo solito, il grande chitarrista statunitense ha suonato, quasi ininterrottamente, per due ore e un quarto, senza stancare mai. La prima parte della serata ha visto tantissima musica acustica: limpida, potente e luminosa, lunare e insieme calda nel tocco. Un tocco, si sa, unico al mondo: lo si riconosce infatti tra mille altri. E' stata, anche, l'occasione per ritrovare quelle radici country che Charlie Haden – il suo migliore amico, scomparso dieci anni fa – gli aveva consigliato di recuperare: un modo, anche, per dipingere attraverso la musica l'infanzia e la terra natia, i ricordi d'una vita e i cieli del Missouri che lo ha visto nascere. Echi e pause, silenzi e riverberi, gusto melodico e armonizzazioni, di grande classe ed alta scuola: questo, soprattutto, è stata la prima ora del concerto. Durante la seconda – che, se vogliamo, è stata, in parte, più rock – è emerso maggiormente il Pat sperimentatore, che lavora su sempre nuove idee, capace di reinventarsi e riscrivere una tradizione, sua e non solo sua. In un paio di frangenti, appena inatteso, ma, comunque, funzionale all'esibizione, Metheny si è lasciato altresì andare al fragore della sua via al white noise: un'arte del rumore, padroneggiato da maestro, che ha evocato, in chi scrive, le più aspre dissonanze crimsoniane e frippiane. In un altro momento, ha fatto capolino, poi, il free jazz decostruzionista e post-moderno dell'amico e collaboratore Derek Bailey, mentre in altri ancora la proposta sonora si è fatta più elettronica, con un incandescente guitar synth robotico sugli scudi ed accompagnamento di strumenti elettronici pre-fabbricati, che traducevano in musica gli impulsi sonori, densi di cromatismi, della sua chitarra. Anzi, delle sue chitarre. Perché, in effetti, sono state loro le protagoniste della serata, le regine, a cui l'artista americano ha dato voce: acustiche ed elettriche (la Gibson, la Fender, la Pikasso, la nuovissima chitarra-baritono, con corde di nylon, costruitagli dalla sua liutaia di fiducia). Con esse Pat ha esplorato la gamma espressiva del suono. Quello puro, espresso e materializzato, tratteggiato e raccontato, appunto, da un campionario di strumenti che non hanno fatto – si diceva sopra – minimamente rimpiangere, sul palco, un gruppo vero e proprio. E anche i tanti bis, al di là del pure indubbio virtuosismo, sono stati di luminescente ed intimistica magia. La Musica con la M maiuscola, detto altrimenti: un ponte gettato verso l'oltre, una forma di linguaggio espressivo supremo e sublime, che le parole, in fondo, non possono rendere o tradurre. Per chi c'era, incanto e meraviglia.
(Davide Arecco)

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CCCP al Balena Festival il 27 luglio 2024

Balena Festival

Grande annuncio! 
Siete pronti per una sorpresa epica? 
I CCCP - Fedeli alla Linea arrivano a Genova e lo fanno sulla nostra Balena al grido di "In FEDELTÀ la LINEA c'è".
Il 27 luglio non hai scuse! Ti vogliamo in prima fila a goderti il concerto più atteso dell'estate. D'altronde è sempre e solo stata una questione di qualità...
Segna la data: sabato 27 luglio 2024
Dove? All'Arena del Mare @Porto Antico di Genova
Biglietti disponibili da martedì 26 marzo alle 18.00
Imposta il promemoria su Dice ???? link.dice.fm/g9860054a572
Non farti scappare l'evento dell'anno! Unisciti a noi per una serata leggendaria!
Aluha Musiche Metropolitane
#balenafestival #balenafestival2024 #CCCPfedeliallalinea #chebellacompagnia

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BEPPE GAMBETTA - Live a Nervi

19 luglio 2020
Festival Internazionale della Musica e del Balletto di Nervi
Beppe Gambetta / Dove tia o vento / Where the Wind Blows

Bella storia che ai Parchi di Nervi siano tornati musica e danza, come quando le note di Miles Davis, di John Surman, dell'Art Ensemble of Chicago aleggiavano sui prati incantati. Altri tempi, naturalmente, oggi è già molto che ci sia la musica dal vivo, come che sia, e non quel triste succedaneo che è la "musica liquida" da consumare distrattamente con la soglia d'attenzione del pesce rosso, dieci secondi e si passa ad altro. E tanto più dopo che il lockdown ha lasciato un vuoto di emozioni vere che bisognerà riempire con pazienza e costanza, pena un futuro davvero parecchio più triste e indifferente. Bello allora che, accanto a presenze musicali più che discutibili, sia stato chiamato a suonare quel vero ambasciatore della musica e di Genova nel mondo che è Beppe Gambetta, una delle vittime illustri della serrata da Covid, con le sue serate acustiche al Teatro della Corte per la prima volta annullate. Gambetta ha un nuovo disco da proporre, e che disco, se n'è parlato anche in questi spazi. Ha un doppio titolo, in genovese e in inglese, che sta a significare "dove tira il vento": perché "dove tira il vento" sono finiti decine, centinaia di italiani che nei decenni finali dell'Ottocento hanno cominciato ad andarsene dall'Italia, spesso svanendo in un nulla che non portava più notizie né pane. Così è toccato anche agli avi di Beppe, e sappiamo quanto il valoroso chitarrista sia sensibile al tema, al quale ha dedicato almeno un paio di dischi ormai "storici".

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RED WINE - BLUEGRASS PARTY  11

L'Altra Woodstock 1969 - 2019 Teatro della Tosse

In sala c'era anche un signore che a Woodstock c'era stato davvero. E che, salutato dal palco della Red Wine, ha risposto con un sorriso impacciato, un saluto, e un gesto gentile che è diventato la "V" con indice e medio che mezzo secolo fa i freaks di tutto il mondo usavano per salutarsi. Lui era su una collinetta in tenda, a Woodstock, e pare che il volume di suono fosse così possente, nella vallata, che per tre giorni e tre notti chi aveva voglia di ascoltare poteva davvero seguire tutto, sonno e altre attività varie - lisergiche ed eventuali - permettendo. Ogni celebrazione mezzo secolo dopo rischia di incrociare fatalmente le tristi piste del reducismo. S'è presa un bel fardello la Red Wine, invece, a costruire pezzo su pezzo, con tanto a ironia, tanta sapienza e tanta voglia di mettersi in gioco l' "altra Woodstock", in scena al Teatro della Tosse sabato, undicesima edizione del Bluegrass Party.

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RED WINE - 10° Bluegrass Party

Teatro della Tosse 17 novembre , Red Wine, 10° Bluegrass Party
Partiamo dalla coda (del concerto), che secondo il proverbio latino dovrebbe portare il veleno, e invece, trattandosi di galantuomini della musica dotati di superiore e calviniana leggerezza ha portato parecchia commozione e un surplus di emozione per una serata già di per sé carica di emozioni. E' successo che, in chiusura, la Red Wine ha cominciato a intonare una ballata dolente che sembrava uscita dalla penna pensosa di Luigi Tenco. Però non poteva essere, materialmente, di Tenco. L'ha scritta invece il cantautore Silvano Chidda, la Red Wine l'ha saputa raccogliere, ed ecco il miracolo laico di un pugno di parole asciutte, dirette, senza alcuna concessione al sentimentalismo, e che arrivano diritte come mazzate, come i blocchi di cemento che cadevano dal Morandi, all'improvviso, quella mattina il 14 agosto. Bella scelta. E poi una Stand By Me corale, quindici persone sul palco. In più ( ed era uno dei fatti caratterizzanti della serata) su un grande schermo alle spalle dei musicisti apparivano, in tempo reale , i disegni a commento dei brani dai pennelli scaltriti dello scenografo – artista Roberto Zizzo, uno spettacolo nel solito (grande) spettacolo che ogni anno propone il gruppo veterano. A proposito di veterani delle note e celebrazioni : il numero Dieci del Bluegrass Party era ovviamente un bel traguardo, ma in più c'era da festeggiare anche il quarantennale della band, traguardo già difficile per chi molto concede al mercato delle note leggere, figurarsi per chi suona bluegrass in Italia: una cosa facile e probabile come essere maestri quarantennali della pizzica tarantata all'Università di Tuva dove studiano canto difonico.

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ACOUSTIC NIGHT 18 / BEPPE GAMBETTA

Teatro della Corte - 3 – 6 maggio

A volte certe piccole verità scomode bisogna imporsele: che da tempo sia in corso una sorta di museificazione letale della figura di Fabrizio De André è un fatto tanto triste quanto, forse, inevitabile. Non certo "naturale". Da che mercato è mercato, ad esempio. De André in teche museali, De André sceneggiato televisivo. Oggetto di racconti, di fumetti, di cartoons. Nulla di male, spesso. Molto di artistico e sincero, altrettanto spesso. Non è detto che tutte le buone intenzioni finiscano per costruire i lastricati dell'inferno, come dice il proverbio. E poi De André proprio non ci credeva, all'inferno, convinto com'era che se un inferno esiste, è quello che creano gli uomini per altri uomini, visto che, ( traduciamo da Crêuza) "Il diavolo è in cielo, e ci s'è fatto il nido". Però il sospetto che un pezzetto di De André non si neghi a nessuno è forte, visto che ambigue figure politiche fino a ieri con la bava alla bocca per difendere inesistenti confini identitari del Nord ora lo citano a sproposito, forse non avendo mai avuto il tempo per leggere cosa davvero significhino certi testi del poeta libertario con la chitarra. Tanto preambolo per dire che c'è un modo per onorare De André senza venerare i marmi funebri: suonarlo, il più possibile. E siccome il raggio d'azione di De André (che pure era un viaggiatore fisico non entusiasta) era il mondo, e tutte le storie belle e atroci che il mondo contiene, De André va sporto sul mondo. Beppe Gambetta da molti anni quando è in giro per il mondo ad ogni occasione fa ascoltare qualche canzone di De André. Adesso ha fatto il percorso inverso, e magnifico: ha convinto il mondo a cantare de André. La diciottesima edizione della sua Acoustic Night al Teatro della Corte ha portato sul palco i tedeschi Felix Meyer e Erik Manouz, il canadese James Keelaghan e lo scozzese Hugh McMillan. Senza dimenticare il genovese contrabbassista Riccardo Barbera. A tutti, con mesi di lavoro dietro per preparare poi due ore di spettacolo incantato: nei contenuti, nella forma delle scenografie di Sergio Bianco ispirata alla "Guerra di Piero":grano come pentagramma, plettri come garofani rossi. "De André è patrimonio dell'umanità", ha spiegato dal palco Gambetta. Ed è vero. Perché ascoltare il "recitativo" da Tutti morimmo a stento in tedesco, Volta la carta in inglese, il Gorilla riportato alle atmosfere da Francia profonda di Brassens, il Matto di Non al denaro, non all'amore né al cielo in inglese, così come una rotolante Volta la carta nella lingua di Dylan è una grande esperienza. Svela un segreto piccolo ed enorme assime: De André funziona in ogni lingua, se ci sono mani esperte sugli strumenti, cuori limpidi nell'affrontarlo, voglia di far propri quei testi che prendevano sempre la parte degli ultimi. Le "mulattiere di mare" possono srotolarsi anche tra le querce del Canada, o nella Foresta nera: basta volerlo. E non pensare che De André sia un santino da altare, né un espediente per cavarne, come si direbbe aGenova, "franchi a brettio". (Guido Festinese)

(Foto, Giovanna Cavallo)

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