2020 parole

Mentre mi accingevo a scrivere l'ultimo appuntamento di questa rubrichetta (è nata dopo il decreto del 9 marzo; tornerà a settembre; forse) senza avere in mente un particolare argomento, mi sono imbattuto nella nuova e bella canzone di Diodato. Dopo questo lungo inverno che si è rubato anche la primavera è lui che si fa portavoce della voglia di andare al mare e di provare a vedere "se questo tempo ci rincuora, se questa estate ci consola". Tralasciando l'eccezionalità di questa annata 2020 (la prima della mia vita in cui non farò il bagno nel Mar Ligure per un lungo elenco di motivi, tra cui l'impossibilità di raggiungere, se non a piedi, la mia regione) ho ripensato a quanto avevo scritto qualche settimana fa, quando avevo dedicato le mie parole all'estate e ai sentimenti contrastanti che suscita l'arrivo di questa stagione. E mi sono reso conto che le canzoni che più segnano il ricordo delle nostre estati, dietro un'apparente allegria festaiola, celano un fondo di malinconia: è così per Ho scritto t'amo sulla sabbia dell'ineffabile duo Franco IV e Franco I (sembra che nel 1966 a Ischia quando si conoscono, fossero in otto a chiamarsi Franco, da cui l'esigenza di numerarsi). E soprattutto per Azzurro di Paolo Conte: la versione di zumpapapeggiante di Celentano trae in inganno, ma quando l'avvocato se la riprende per sempre, la sua anima autentica, tragica e dolente, viene fuori senza lasciar adito a dubbi. Analogamente i Righeira, che nel 1983 con Vamos a la Playa firmano un capolavoro di spensieratezza, già due anni dopo facevano ammenda con L'estate sta finendo, inserendosi prepotentemente nel filone dell'estate triste. A cui ascriviamo anche Un'estate al mare di Giuni Russo, forse il top del fraintendimento delle hit estive: qui la protagonista è addirittura una puttana "per le strade mercenarie del sesso", che spera di poter andar al mare e "fare il bagno al largo per vedere da lontano gli ombrelloni-oni-oni". Per cui sappiatelo, se d'estate vi sentite tristi, non siete i soli!

15.7.20 Dove si parla del festival Gezmataz e dell'abitudine di dire che a Genova non c'è mai niente.

Anche quest'anno la caparbietà di Marco Tindiglia e Gezmataz permette a Genova di vantare un festival jazz di livello assoluto. E nonostante il cartellone sia praticamente autarchico, per le note problematiche legate al Covid 19, va riconosciuto che la varietà e la qualità delle proposte ne fanno un appuntamento obbligato per chiunque si interessi alla musica e non solo al jazz. Si parte con due date a ingresso libero a Palazzo Ducale il 20 e 21 luglio alle ore 19 con Vocione (un duo formato da Marta Raviglia alla voce e da Tony Cattano al trombone) e con il progetto tutto genovese Colmorto. Si entra nel vivo mercoledì 22 alla Piazza delle Feste alle ore 21 con un doppio concerto, i Motus Laevus e gli Esperanto: il primo è il nuovo progetto musicale di Tina Omerzo (piano e voce), Edmondo Romano (fiati) e Luca Falomi (chitarre). È appena uscito Y, disco di cui trovate la recensione di Fausto Meirana su questo sito; per quel che mi riguarda aggiungo solo che si tratta di uno dischi che ho più ascoltato in quest'ultimo periodo: profuma di Mediterraneo ed è una scoperta assoluta. Anche gli Esperanto sono al loro primo album: ancora Luca Falomi con Rodolfo Cervetto alla batteria e Alberto Barbera al contrabbasso. Siamo ai confini del jazz, ma forse è venuta finalmente l'ora di usare i confini solo per superarli. Il 23 arriva il trio del giovanissimo pianista Tommaso Perazzo, il 24 è la volta di Ralph Towner, già chitarrista dei celeberrimi Oregon, da molti anni residente in Italia. Il 25 luglio Unknown, una coproduzione Gezmataz/Electropark con Gianluca Petrella, Marco Tindiglia, Furio Di Castri e Michele Rabbia: un'anteprima assoluta che si preannuncia come una delle novità più interessanti nel panorama italiano. Infine, il piano solo di Rita Marcotulli. Insomma tocca sfatare il mito che a Genova non c'è mai niente da fare: le cose da vedere e da ascoltare ci sono. E considerando che il biglietto dei singoli concerti è fissato a 10 euro non ci sono davvero scuse: basta solo averne voglia. (Danilo Di Termini)

8.7.20 Dove si parla di Kanye West e nell'ultima riga anche di Liguria.

In un post del 5 luglio, il produttore e rapper Kanye West ha annunciato la sua candidatura alle prossime presidenziali statunitensi: "We must now realize the promise of America by trusting God, unifying our vision and building our future. I am running for president of the United States ????????! #2020VISION". Al di là dei sorrisetti e delle alzate di sopracciglio indotti da una simile sparata, bisogna ricordare che in un sistema in cui The Winner Takes It All, anche una minima percentuale può far spostare l'ago della bilancia. Non è la prima volta che Kanye annuncia la sua candidatura: nel 2015, lo aveva fatto dal palco degli MTV Awards, proprio riferendosi alla corsa del 2020. Poi nel 2016, dopo un incontro con un Donald Trump appena eletto, aveva deciso di posticipare la sua candidatura per non ostacolare la rielezione dell'amico (sic!). Infine il nuovo annuncio: chissà se è solo dietrologia pensare che ci sia anche solo l'intenzione di erodere un po' di elettorato afroamericano, quel tanto che basta per far rieleggere Trump. Pur non essendo un fan dei bei tempi andati tocca rimpiangere il 1963, quando Dizzy Gillespie si candidò con un programma elettorale che prevedeva il cambio del nome della Casa Bianca in The Blues House e una compagine di governo che prevedeva Duke Ellington, Segretario di Stato, Louis Armstrong, Ministro dell'Agricoltura, Max Roach, Ministro della Difesa, Charles Mingus, Ministro della Pace, fino a Miles Davis a capo della CIA! La candidatura di Gillespie rimase più uno scherzo che una cosa seria, anche se dal palco del Festival di Monterey, il trombettista annunciò: "Voglio essere il prossimo Presidente degli Stati Uniti d'America, perché ce ne serve uno!". Detto fatto: "Salt Peanuts", uno dei classici del Bebop, con la voce del cantante Jon Hendricks diventò "Vote Dizzy!", anche se ovviamente la cosa finì lì. Impossibile capire come andrà a finire con Kanye. E, soprattutto, come finirà in Liguria, dove già sarebbe bello avere almeno un candidato. Un altro intendo.

1.7.20 Dove si prende spunto da Giancarlo per fare gli Chic con Wyatt!

Giancarlo, il proprietario di Disco Club e il promotore del sito sul quale settimanalmente trovate queste 2020 parole, pubblica (ir)regolarmente un diario in cui racconta i bizzarri clienti che popolano il suo negozio. Il ritorno di uno di loro, alle prese con una copia difettosa - a suo dire - di C'est Chic, secondo album della premiata ditta Nile Rodgers e Bernard Edwards, è stato lo spunto per la puntata del 29 giugno. Anch'io parto da lì, da quel disco che conteneva Le Freak, il primo grande successo degli Chic, che pure avevano già all'attivo due bei singoli come Dance, Dance, Dance e Everybody Dance. Il brano nasce dopo che Edwards and Rodgers, rimasti fuori dallo Studio 54 la sera di Capodanno del 1977, nonostante un invito di Grace Jones, non trovano di meglio che andare in studio a scaricare la loro delusione con un riff di chitarra e basso sul quale improvvisano quello che pensano dello zelante buttafuori del locale: "Fuck off, fuck off, Studio 54". Il brano funziona, ma prudentemente i due decidono di cambiare il testo in un più innocente Freak Out (in fondo quello che fa Giancarlo ogni volta che è costretto a scontrarsi con la follia dei suoi clienti). Anche da noi, coloro che iascoltavano gli Chic (e affini) erano oggetto di pubblico ludibrio, additati nelle assemblee d'istituto, irrisi dalle ragazze più belle del liceo che gli preferivano gli aitanti giovinastri della sinistra extraparlamentare che anni dopo avrebbero gremito le fila dei manager di Forza Italia. Io stesso ero costretto a nascondere i miei vinili di Earth Wind & Fire o Kool & the Gang fingendo di preferire Darkness on the Edge of Town, Blue Valentine o More Songs About Buildings and Food (per rimanere alle uscite del 1978). Ora tutti i dischi citati sono felicemente nella mia collezione, compreso un singolo di Robert Wyatt che, dopo aver ascoltato C'est Chic, era rimasto così colpito da At Last I Am Free, un 'lento' da sette minuti, da farne una sua versione nel 1980, in un dolente singolo per Rough Trade.

24.6.20 Dove si parla con grande originalità di estate

E finalmente è arrivata l'estate. Magari molti di voi la odiano, ma su questo ognuno è libero di pensarla come meglio crede. E nel caso di aspettare trepidante Settembre, nella versione speranzosa di Alberto Fortis (Ahi settembre mi dirai/Quanti amori porterai/Le vendemmie che farò/Ahi settembre tornerò) o in quella più malinconica di Peppino Gagliardi, dove le cose non vanno poi così bene (Settembre poi verrà, ma non ti troverà/E piangeranno solo gli occhi miei). Ma al di là delle preferenze personali, Estate per il jazz significa una cosa sola e cioè l'unica canzone italiana ad essersi affermata come uno standard. Scritta nel 1960 da Bruno Martino, che compone la musica, e da Bruno Brighetti, autore del testo, in origine si intitolava Odio l'Estate, tanto per non lasciare dubbi di sorta; d'altra parte L'estate che ha creato il nostro amore/Per farmi poi morire di dolore, non poteva che essere in odio al pianista, che aveva esordito in RAI nel 1944 con la celebre Orchestra 013 di Piero Piccioni. Quanto la stagione calda avesse segnato Martino si evince anche dall'altro suo successo di cinque anni dopo, questa volta scritto in collaborazione con Franco Califano. In E la chiamano estate/Questa estate senza te, torna infatti a ribadire il concetto: quando ti lasciano alla fine dell'estate, sei segnato per sempre. E pensare che per godersi serenamente l'estate, senza tirare in ballo i Beach Boys che pure sul tema ne avrebbero avute di cose da insegnare, sarebbe bastato aspettare un paio di anni quando la californiana Summer of Love del '67 avrebbe chiarito le idee a tutti. Per Scott McKenzie (anche se la canzone l'ha scritta John Phillips, leader dei Mamas & the Papas, oltre che uno degli ideatori del Monterey Pop Festival di quell'anno) non ci sono dubbi: basta mettersi dei fiori tra i capelli e a San Francisco è impossibile non trovare l'amore: For those who come to San Francisco/Summertime will be a love-in there. Ma probabilmente Bruno Martino quella canzone non l'aveva mai sentita...

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