Jazz

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Image CHICK COREA (13 Grammy vinti, 46 nomination), ama i duetti (ricordiamo quelli con Herbie Hancock, Gary Burton, Seve Kujala, Nicolas Economou…). E questa volta tocca al virtuoso del banjo contemporaneo BÉLA FLECK (9 GRAMMY® vinti, 20 nomination) dividere la scena e l’avventura in un CD semplicemente incredibile. C’è ovviamente un tocco di Country nelle atmosfere del CD, ma è l’intesa tra i due (alle prese anche con il più celebre dei Children’s Songs) a lasciare ammutoliti, anzi: incantati.
CD in vendita da Disco Club a partire da venerdì 18/05 al prezzo di € 20,50.
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ImageDopo l’elettrico “Momentum” del 2005 Redman sceglie un disco in trio (alternando tre diverse coppie ritmiche) e sembra tornare al classico mainstream con il quale si era rivelato più di vent’anni fa: “The surrey with the fringe on top” e “East of the sun”, affrontato su tempi calipseggianti, potrebbero essere in un disco del miglior Rollins. Poi con, “Zarafah”, qualcosa cambia: Joshua passa al soprano e le atmosfere si fanno più sinuose e orientaleggianti; si continua in crescendo con due brani, non a caso, dal Sonny di "Way Out West" (“I'm an old cowhand” e “Wagon wheels”), guardando decisamente a est e a Coltrane: "India", “Mantra #5”, “Indian song” con ospiti come Joe Lovano, Chris Cheek e il padre, Dewey Redman, per un duetto finale che chiude degnamente un opera magistralmente compiuta. (Danilo Di Termini)
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ImageQuando intorno alla metà del secolo scorso il bandoneon di Astor Piazzolla traghettava il tango nella sua era moderna, quella ribattezzata del nuevo tango, chissà se il grande compositore argentino di origini pugliesi immaginava che a raccogliere la sua eredità sarebbe stato un sassofonista e non un suonatore di bandoneon, come da tradizione tangheira. Ma facciamo un passo indietro, nato nei quartieri più poveri e popolari di grandi città come Buenos Aires e Montevideo nella seconda metà del XIX secolo, il tango, come il cugino choro brasiliano, è musica appartenente alla grande famiglia delle note afro-americane e ha conosciuto un’evoluzione storica simile e per molti versi confrontabile a quella del più “blasonato” jazz. Come per il jazz, anche nel caso del tango si può parlare di sintesi tra diverse culture (indigena, africana, europea) e di una prima mitica epoca classica e “tradizionale” in seguito avvicendata da un’altra a caratura più moderna. Schematicamente parlando, i due più grandi interpreti di questa lunga storia sono senza dubbio stati Carlos Gardel per quel che riguarda la prima fase e Astor Piazzolla per quanto attiene la seconda. Tra i due c’è un pò la differenza che passa tra Louis Armstrong e Miles Davis, Roy Eldrige e Dizzy Gillespie, Coleman Hawkins e Charlie Parker, Jo Jones e Kenny Clarke: per intendersi il divario tra jazz classico, era dello swing e la grande rivoluzione del be-bop di metà anni ’40.
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ImageDischi come questo sembrano fatti apposta per rilanciare all’infinito una vexata quaestio: fino a che punto sia lecito “rileggere” quei prodotti dell’arte e dell’ingegno che il gioco di forze degli eventi ha costruito, nel sentire comune, come “classici”. Si dirà: in epoca di postmodernismi spinti, dove la massima aspirazione (giustificazione?) è il fritto misto di cocci sparsi e lacerti culturali vari, alla ricerca del senso perduto, tutto è lecito. E lo era anche, per dire, quando si affrontava la musica barocca appena riscoperta con piglio romantico e urgenze espressive figlie di uno specifico zeitgeist. Nothing is true, everything is permitted, direbbe Bill Laswell. Sta di fatto che l’assunto si può rovesciare nell’esatto contrario, ovvero che nulla è permesso perché tutto ha un suo fondo di verità. Ovvero: prima indaga, e a fondo, poi agisci, con rispetto. Il Turtle Island Quartet, attivo da oltre un ventennio, è una specie di versione sbarazzina del Kronos Quartet. Come e più di loro amano sporcare l’algido equilibrio “classico” di violini, viole e violoncello con i materiali più disparati. Dal bluegrass al rap, andata e ritorno. Dischi come questo sembrano fatti apposta per rilanciare all’infinito una vexata quaestio: fino a che punto sia lecito “rileggere” quei prodotti dell’arte e dell’ingegno che il gioco di forze degli eventi ha costruito, nel sentire comune, come “classici”. Si dirà: in epoca di postmodernismi spinti, dove la massima aspirazione (giustificazione?) è il fritto misto di cocci sparsi e lacerti culturali vari, alla ricerca del senso perduto, tutto è lecito. E lo era anche, per dire, quando si affrontava la musica barocca appena riscoperta con piglio romantico e urgenze espressive figlie di uno specifico zeitgeist. Nothing is true, everything is permitted, direbbe Bill Laswell. Sta di fatto che l’assunto si può rovesciare nell’esatto contrario, ovvero che nulla è permesso perché tutto ha un suo fondo di verità. Ovvero: prima indaga, e a fondo, poi agisci, con rispetto. Il Turtle Island Quartet, attivo da oltre un ventennio, è una specie di versione sbarazzina del Kronos Quartet. Come e più di loro amano sporcare l’algido equilibrio “classico” di violini, viole e violoncello con i materiali più disparati. Dal bluegrass al rap, andata e ritorno.
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ImageLo scampanellio gentile di If I Were A Bell, giusto all’inizio del concerto qui presentato, desta dal chiacchericcio e dalla noia gli avventori dello Hyatt On Sunset di Los Angeles, California. Quella sera dell’85 sul piccolo palco del locale c’erano David Friesen, un contrabbassista dal suono solido e dal timing perfetto che non ha mai avuto molta gloria, e il gigantesco (di fatto, e d’arte) Mal Waldron, un pianista che chi ha nel cuore le asperità ritmiche e le misteriose geometrie monkiane farebbe bene a (ri)ascoltare con attenzione. Se avete in mente i giochi quasi zen sul silenzio e le note, la concitazione e la rarefazione che hanno fatto grandi i dischi incisi da Mal Waldron con Steve Lacy, altro gigante delle prospettive monkiane, qui trovate un altro scorcio: quello più ruvidamente ed espressionisticamente “afroamericano” del pianismo di Mal Waldron. Con la ricerca pervicace dell’ostinato ritmico dal flusso incantante, con le spirali di accordi che rimbombano sui registri gravi e medi della tastiera.
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Image A nove anni dal successo planetario di A GO GO (Verve) Sco e i MM&W tornano a colpire: un disco in studio e un favoloso bonus cd (esclusivo per l’Europa) registrato dal vivo (che, tra l’altro, apre proprio con una versione di A Go Go da cardiopalma). Musica a livelli stratosferici, in due cd al prezzo di uno.
CD in vendita da Disco Club a partire da venerdì 20/04 al prezzo di € 21,90.
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