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Dischi come questo sembrano fatti apposta per rilanciare all’infinito una vexata quaestio: fino a che punto sia lecito “rileggere” quei prodotti dell’arte e dell’ingegno che il gioco di forze degli eventi ha costruito, nel sentire comune, come “classici”. Si dirà: in epoca di postmodernismi spinti, dove la massima aspirazione (giustificazione?) è il fritto misto di cocci sparsi e lacerti culturali vari, alla ricerca del senso perduto, tutto è lecito. E lo era anche, per dire, quando si affrontava la musica barocca appena riscoperta con piglio romantico e urgenze espressive figlie di uno specifico zeitgeist.
Nothing is true, everything is permitted, direbbe Bill Laswell. Sta di fatto che l’assunto si può rovesciare nell’esatto contrario, ovvero che nulla è permesso perché tutto ha un suo fondo di verità. Ovvero: prima
indaga, e a fondo, poi agisci, con rispetto. Il Turtle Island Quartet, attivo da oltre un ventennio, è una specie di versione sbarazzina del Kronos Quartet. Come e più di loro amano sporcare l’algido equilibrio “classico” di violini, viole e violoncello con i materiali più disparati. Dal bluegrass al rap, andata e ritorno. Dischi come questo sembrano fatti apposta per rilanciare all’infinito una vexata quaestio: fino a che punto sia lecito “rileggere” quei prodotti dell’arte e dell’ingegno che il gioco di forze degli eventi ha costruito, nel sentire comune, come “classici”. Si dirà: in epoca di postmodernismi spinti, dove la massima aspirazione (giustificazione?) è il fritto misto di cocci sparsi e lacerti culturali vari, alla ricerca del senso perduto, tutto è lecito. E lo era anche, per dire, quando si affrontava la musica barocca appena riscoperta con piglio romantico e urgenze espressive figlie di uno specifico zeitgeist. Nothing is true, everything is permitted, direbbe Bill Laswell. Sta di fatto che l’assunto si può rovesciare nell’esatto contrario, ovvero che nulla è permesso perché tutto ha un suo fondo di verità. Ovvero: prima indaga, e a fondo, poi agisci, con rispetto. Il Turtle Island Quartet, attivo da oltre un ventennio, è una specie di versione sbarazzina del Kronos Quartet. Come e più di loro amano sporcare l’algido equilibrio “classico” di violini, viole e violoncello con i materiali più disparati. Dal bluegrass al rap, andata e ritorno.