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Jazz Recensioni OMAR SOSA – Promise (Skip Records 2007)
 

OMAR SOSA – Promise (Skip Records 2007) Hot

ImageQuando alla fine degli anni quaranta Dizzy Gillespie, Chano Pozo e Mario Bauza intuirono la necessità di perseguire l’abbraccio tra le musiche afro-americane – “inventandosi” di sana pianta quello che è stato definito l’afro-cuban-jazz - erano tempi durissimi per i neri d’America: la stigmatizzazione razziale continuava a mietere vittime. Alcuni musicisti jazz “reagirono cercando negli africanismi sopravvissuti nelle Americhe e nella religione più identificabile con L’Africa, quella mussulmana, vie che riconducessero, passando per i sincretici Caraibi, al Continente nero”. L’Africa, scrive Luigi Onori, tornava ad essere non più mitica ma concreta, viva e vitale, il referente per una nuova definizione di identità. L’etno jazz di Omar Sosa, straordinario pianista cubano dal scintillante lirismo costantemente in bilico tra tradizione e innovazione, non dimentica quella lezione e si avventura ancor più a ritroso (sempre più verso L’Africa) lungo le vie che dalla diaspora africana hanno portato al sorgere dell’immenso mondo delle musiche afro-americane. Il bisogno di tirare le fila, tracciare i percorsi persiste oggi come allora, visti i pochi tentativi di fare luce su materia così complessa e i molti revisionismi che ci circondano. Ecco perché allo stato attuale Omar Sosa è tra i pochi artisti fondamentali e irrinunciabili del momento: forse l’unico capo scuola in circolazione, i cui dischi risultano essere veri e propri libri di storia.

La dimensione live sembra per Omar quella più congeniale: i suoi concerti appartengono alla categoria del rituale, alla sfera del trascendente, sono cascate di ancestralità proiettate nella modernità. In questa presa diretta registrata nel maggio del 2006 al Rolf – Liebermann – Studio di Amburgo, Sosa conferma al meglio la sua strepitosa vena sempre alla ricerca inesausta delle proprie radici, ma aperta al presente, al futuro e alle nuove tecnologie. Il primo brano di questo splendido cd basta a spiegare quanto detto sinora. Alle prese con campionatori e sintetizzatori, infuocati sfondi percussivi e le frasi sferzanti della tromba elettrificata di Paolo Fresu, Sosa innalza una preghiera, un’invocazione atavica ad Eleggua, un Horisha (figura divina e santificata) appartenente al “pantheon” di quella che gli spagnoli hanno definito Santerìa, la vera religione di Cuba, un mix di antichi retaggi africani, appartenenti a quella zona dell’Africa equatoriale occidentale compresa tra il Togo, il Benin e parte della Nigeria un tempo abitata dalle comunità yoruba, e di cattolicesimo spagnolo: la più importante religione di origine africana trasportata a Cuba dagli schiavi di quel continente, praticata fino ai giorni nostri da un gran numero di fedeli. Ellegua’ è forse il più importante tra gli Horisha: é il signore delle strade, il custode della casa, apre e chiude le porte al destino, rappresenta il bene e il male, la notte e il giorno, la disgrazia e la felicità. Fin dal primo incedere del disco, quindi, siamo catapultati in un’altra dimensione apparentemente perduta, onirica e immaginifica, ma in realtà viva e reale data la sua sacralità e l’impetuoso carisma che ne deriva. L’Africa per Omar Sosa non è certo qualcosa di lontano, irraggiungibile, sognato, forse accaduto, non è quel fiore di ellingtoniana memoria al centro della selva metropolitana da nascondere e proteggere, non si cela dietro la modalità coltraniana o i gridi lancinanti del sax di Albert Ayler, ma è qualcosa di forte, di immanente che appartiene saldamente al vissuto quotidiano e all’intrinseco modus vivendi. Per concludere il disco prosegue meraviglioso, mantenendosi sulle stesse atmosfere, mescolando “il folclore alla contemporaneità, il tribale all’urbano”. Da non perdere. (Marco Maiocco)

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