Jazz

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ImageCapace di passare da un triplo disco come il “Live At Tonic”, in cui esplorava il mondo black a 360 gradi (hip-hop compreso), al supergruppo con cui recentemente Chick Corea e John McLaughlin hanno provato a rinverdire i fasti della fusion anni ’80, Christian McBride è probabilmente il contrabbassista più completo della scena attuale. Con il suo nuovo gruppo, formato da Carl Allen alla batteria, Eric Reed al piano, Steve Wilson al sax alto e soprano, Warren Wolf Jr al vibrafono, ritorna a un jazz mainstream di scuola hard-bop con omaggi a Cedar Walton ("The Shade of the Cedar Tree”) e Freddie Hubbard ("Theme For Kareem”). Incisone audiofila in analogico su vinile “high-resolution 24-bit 96KHz” per un disco che mantiene quanto di buono promette, senza sorprendere, ma senza mai deludere. (Danilo Di Termini)

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ImageLa consueta rarefazione estiva delle uscite discografiche può essere occasione per recuperare titoli ingiustamente dimenticati. È il caso del settimo album di Donny McCaslin, qui impegnato a rinnovare i fasti del trio senza pianoforte (come i Fly di Mark Turner e l’ultimo Joshua Redman) con Hans Glawischnig al contrabbasso e Johnathan Blake alla batteria. Virtuoso dello strumento con pochi rivali, come ha dimostrato nell’ultimo quintetto di Dave Douglas e nell’orchestra di Maria Schneider, il tenorsassofonista colora "Isfahan" di Billy Strayhorn con la stessa eleganza di Johnny Hodges e dimostra tutta la sua abilità nella costruzione di un assolo brano dopo brano, ma soprattutto in “The Champion”, dove si scrolla di dosso gli accompagnatori per librarsi in perfetta e sublime solitudine. (Danilo Di Termini)

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ImageTra sperimentazione e tradizione (ma non solo della ‘sua’ Napoli) Maria Pia De Vito ha saputo costruire un percorso musicale personale e riconoscibile. Idealmente nel solco di cantanti come Betty Carter ("Mind the Gap" è un omaggio/parafrasi a due suoi pezzi "Making Dreams Come True" e "Sounds") e Sheila Jordan (a cui dedica il disco), con un trio stabile (Claudio Filippini, piano, Luca Bulgarelli, basso, Walter Paoli, batteria), al quale aggiunge Francesco Bearzatti, sax, Roberto Cecchetto, chitarra e Michele Rabbia, percussioni, la De Vito realizza un songbook globale (come già nel precedente “Sons of the Underground”) svariando tra Tim Buckley, Jimi Hendrix, Björk, Sidsel Endresen. Il tutto evocando a tratti la Joni Mitchell più sperimentatrice, per un album di valore assoluto. (Danilo Di Termini)

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ImageIl sessantacinquenne baritonista del Devon ci ha abituato all’esplorazione degli angoli più reconditi dell’universo musica: gli ultimi dischi, tutti per ECM, sono stati incisi in duo con un organista (“Rain on the Window”), un quintetto d’archi, (“The Spaces In Between”) e un brass ensemble (“Free and Equal”). Paradossalmente, appare fuori dell’ordinario il suo ritorno ad un jazz più ‘canonico’, in compagnia di un trio (John Abercrombie, chitarra, Drew Gress, contrabbasso e Jack DeJohnette, batteria) in cui addirittura rilegge uno standard ellingtoniano come “Chelsea bridge”, esplicito omaggio al maestro Harry Carney. Non mancano momenti più free come "Haywain", ma in generale il disco mantiene un’atmosfera rilassata e addirittura sognante (“Counter measures” con il leader al soprano). (Danilo Di Termini)

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ImageLa riuscita di “The Dreamers” deve aver convinto Zorn (non che ci voglia molto, come dimostra la sua discografia) a proseguire nel nuovo progetto ‘easy listening’ con il medesimo sestetto - Marc Ribot (chitarra), Jamie Saft (tastiere), Kenny Wollesen (vibrafono), Trevor Dunn (basso), Joey Baron (batteria) e Cyro Baptista (percussioni) – e le medesime atmosfere (ma senza apparire nemmeno in un brano). Titolo rubato ad un estinto volatile hawaiano e, come scrivevamo per il disco precedente, atmosfere surf ("Laughing Owl") alternate a brani che sembrano saltar fuori da oscure colonne sonore musicate da Ennio Morricone ("Archaeopteryx"). In grande spolvero la chitarra di Marc Ribot ("Little Bittern", “Zapatarail”) e il piano di Jamie Saft (“Mysterious starling”). Inesauribile Zorn! (Danilo Di Termini)

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ImageNon lasciatevi trarre in inganno dal titolo: dell’esperienza Weather Report, il contrabbassista ceco recupera solo l’estrema libertà delle composizioni dei primi due dischi, in particolare nell’apertura di “Variations On W. Shorter”. Poi con “Variations On Lonely Woman”, il brano di Ornette Coleman, il raggio d’azione si allarga all’improvvisazione intesa come libera esplorazione nel dialogo. Merito di Gary Campbell al sassofono tenore, di Franco Ambrosetti alla tromba, di Gerald Cleaver alla batteria, bravi a evocare il primo Davis in “Blues Report” e il più recente in “When Dvořák Meets Miles”. Per Michel Portal una nota a parte: nel duetto con Vitous di “Surfing With Michel”, ma anche negli altri titoli, il suo strumento emerge come una delle più belle voci del jazz contemporaneo. (Danilo Di Termini)

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