Jazz

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ImageM-Base, una sorta di nuovo jazz con forti contaminazioni groove-funky, che negli anni ’80 aveva coinvolto anche una grande vocalist come Cassandra Wilson. Coleman ne era il portatore di maggior pregio, se non l’inventore. Ora, dopo svariati album, che nella maggioranza dei casi hanno tracciato una linea di progressivo avvicinamento ad uno stile più personale, il saxofonista di colore pare abbandonare definitivamente l’irruenza black degli inizi e raggiungere una maturità che fonde alcune istanze world music (vedi i vocalizzi di Malik Mezzadri) con la contemporaneità di fraseggi precisi e mai banali.
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ImageKen Vandermark, immaginifico sax tenore classe ‘64, è senza dubbio il più geniale ed eclettico jazzista d’avanguardia dei nostri giorni. Le sue collaborazioni annoverano un’epifania di gruppi, tali da coprire l’intera gamma di sfumature del genere. All’interno del suo spaziare, i Vandermark 5 rappresentano l’anima più precisa ed accorata dell’artista, (forse) quella maggiormente accessibile, seppure saldamente ancorata nel mare impetuoso della sperimentazione.
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ImageAccendete il sole all’alba lungo il confine tra il Messico e gli Stati Uniti. Una lunga striscia di terra desertica lungo la quale far confluire un gruppo di musicisti dalle esperienze più disparate. Fateli precipitare dentro una linea sonora sospesa, incerta fra dilatazioni ritmiche che sfiorano l’apatia ed il sapore della “saudade” dei paesi del sudamerica.
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ImageAll’inizio furono i Jazz Messengers di Art Blakey, poi il ‘Great Quintet’ di Davis, infine l’avventura dei Weather Report; in mezzo venticinque dischi da leader: ecco il percorso di uno dei più grandi sassofonisti e compositori di tutti i tempi (e di tutte le musiche). Eppure Wayne Shorter non possiede l’aura di un Jarrett o di un Fresu: questione di apparenza forse, che nell’epoca della comunicazione è più importante della sostanza.
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Image Fare parte dei Masada di John Zorn matura finalmente i suoi frutti in questa contaminazione eccezionale fra jazz ed avanguardia newyorkese, collocandosi fra le elucubrazioni elettriche alla Bill Frisell e le aperture ritmiche di Joey Baron, qui presente come protagonista. Douglas alterna furore rockeggiante a vibrati davisiani, avvolgendosi in iniezioni d’elettronica mai invadente e cullandosi in sensazioni più attutite e delicate, di precisa memoria zorniana.
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Image I sedici secondi di “Circa 1990”, puro swingin’ bop old style, introducono senza fronzoli il tema fondamentale del nuovo, magnifico, lavoro di McBride. Aprono, infatti, la strada alla contrapposizione tra il “vecchio” ed il “nuovo”, tra il jazz elettrico e pieno di groove del brano seguente, “Technicolor Nightmare”, ricco di bordate elettriche e ritmi funky, e le rimembranze latine dolcemente romantiche di piccoli capolavori come “Lejos de Usted”.

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