Jazz

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Image Prodotto da Tommy LiPuma e arrangiato da Claus Ogerman (colui che americanizzò Antonio Carlos Jobim, lasciando segni indelebili e deleteri anche su alcuni album di Frank Sinatra, Stan Getz e Bill Evans), il dodicesimo disco di Diana Krall dovrebbe, nelle intenzioni, consacrare definitivamente la cantante canadese come una delle stelle del firmamento musicale internazionale. Per fare ciò sono state scelte una dozzina di evergreen pescando tra hit, come "Walk On By" di Bacharach, qualche standard jazz (“Every time we say godbye”), l’immancabile “Girl of Ipanema” e trasformando il tutto in una melensa sfilata, declamata tra sospiri e sussurri sopra un nutrito tappeto di violini. Siamo pronti a dare un’altra chanche alla Krall, ma per favore impedite a questo disco di suonare. (Danilo Di Termini)

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Image Dopo l’incerto “Half perfect moon” del 2006, Madeleine Peyroux ha deciso di fare tutto da sola e abbandonare ogni tentazione glamour fin dalla foto di copertina, umbratile e blues. Ha scritto tutte le undici canzoni del suo quarto album, facendosi aiutare da Larry Klein, anche produttore del disco, dall’ex Steely Dan Walter Becker (per una “You Can’t Do Me” con un riff bizzarramente simile all’incipit di “Der Kommissar” di Falco), da Joe Henry. La sua voce, sempre debitrice nei confronti di Billie Holiday, ma senza la stessa gamma espressiva, risulta a tratti un po’ monocorde. Il pericolo della monotonia è evitato grazie agli accorti arrangiamenti, agli interventi di Larry Goldings all’organo Hammond e di Carla Kihlstedt al violino, sempre puntuali e convincenti. (Danilo Di Termini)

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Image Registrato a febbraio 2008 durante un soggiorno nella Grande Mela con un quintetto allestito per l’occasione, ma nato sulle basi dello splendido trio con Stefano Bollani e Paul Motian che nel 2005 aveva inciso sempre per Ecm “Tati”, “New York days” nasconde tra le pieghe della sua apparente rilassatezza uno dei più compiuti lavori del trombettista. Ormai prossimo ai settant’anni, Rava contrappone il lirismo del suo strumento alla sinuosità del tenore di Mark Turner (“Lulu” e “Count Dracula”), rilegge uno dei suoi temi preferiti (“Certi angoli segreti”), si lascia andare al ricordo dei bei tempi del free (“Improvisation I” e “II”). Larry Grenadier al contrabbasso completa il gruppo di un disco da scoprire con estrema attenzione, ma lasciandosi guidare dal puro piacere dell’ascolto. (Danilo Di Termini)

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Image Considerando l’esordio del 1977 di “Tales of another” a nome Gary Peacock, questo è il ventesimo disco del trio con Jarrett e Jack De Johnette. Valutando poi che la registrazione è avvenuta nell’aprile del 2001, stesso mese di “Always Let Me Go”, stesso anno di “The Out-of-Towners” e “My Foolish Heart”, ci si potrebbe legittimamente domandare: perché acquistarlo? Purtroppo, per le vostre finanze, basta un ascolto per convincersi: un repertorio all-standard, molto bebop (“Scrapple from the Apple” di Parker, “Shaw’nuff” di Gillespie, “Strollin’” di Horace Silver), due ballad di Jerome Kern (“Yesterdays” e “Smoke Gets In Your Eyes”), una rilassatezza e una gioia di suonare (non così ovvio, trattandosi di Jarrett) , palesate con il soundcheck di “Stella by Starlight” incluso alla fine. Non indugiate. (Danilo Di Termini)

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Image Da “Things” (inciso dal duo nel 2006) a “Think” il passo è breve; ma tra cose e pensieri c’è molta differenza. Soprattutto sono trascorsi tre anni, suonando e conoscendosi. Insomma, quello che sembrava un saluto affettuoso, ma un po’ frettoloso, si è trasformato in una solida relazione, impreziosita dalla partecipazione dell’Alborada string quartet (dove suona la moglie di Fresu, Sonia; e in “Cowboy and Indians” la famiglia è al completo con le risate del piccolo Andrea). Non lasciatevi ingannare dall’apertura con “Darn That Dream”: non siamo di fronte a un disco di standard (l’unico altro titolo è la rollinsiana “Doxy”), ma a un vero e proprio progetto in cui il lirismo del trombettista è perfettamente sostenuto dal puntuale pianoforte di Caine. Ineccepibile. (Danilo Di Termini)

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Image Nei giorni confusi del jazz italiano, alla perenne ricerca di un’identità (che lo distingua dalla musica da night malamente contraffatta) e di un pubblico disposto ad ascoltarlo, il disco che Roberto Gatto ha inciso insieme a Stefano Bollani al pianoforte, Paolo Fresu alla tromba, Rosario Buonaccorso al contrabbasso e Daniele Tittarelli al sax, rischia di passare inosservato. E sarebbe un vero peccato perché il ‘supergruppo’ suona a memoria, ma non di maniera, svolgendo un repertorio di brani originali (quello che dà titolo all’album, davvero bello) alternati a titoli di Morricone, Elvis Costello, l’immancabile aria di Leoncavallo e una curiosa “At last i’m free” degli Chic (era la side B di “Good times”), già immortalata da Robert Wyatt. Musica che tutti vorrebbero ascoltare dalla porta accanto. (Danilo Di Termini)

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