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Jazz Recensioni TURTLE ISLAND QUARTET - A Love Supreme: The Legacy Of John Coltrane (Telarc 2007)
 

TURTLE ISLAND QUARTET - A Love Supreme: The Legacy Of John Coltrane (Telarc 2007) Hot

ImageDischi come questo sembrano fatti apposta per rilanciare all’infinito una vexata quaestio: fino a che punto sia lecito “rileggere” quei prodotti dell’arte e dell’ingegno che il gioco di forze degli eventi ha costruito, nel sentire comune, come “classici”. Si dirà: in epoca di postmodernismi spinti, dove la massima aspirazione (giustificazione?) è il fritto misto di cocci sparsi e lacerti culturali vari, alla ricerca del senso perduto, tutto è lecito. E lo era anche, per dire, quando si affrontava la musica barocca appena riscoperta con piglio romantico e urgenze espressive figlie di uno specifico zeitgeist. Nothing is true, everything is permitted, direbbe Bill Laswell. Sta di fatto che l’assunto si può rovesciare nell’esatto contrario, ovvero che nulla è permesso perché tutto ha un suo fondo di verità. Ovvero: prima indaga, e a fondo, poi agisci, con rispetto. Il Turtle Island Quartet, attivo da oltre un ventennio, è una specie di versione sbarazzina del Kronos Quartet. Come e più di loro amano sporcare l’algido equilibrio “classico” di violini, viole e violoncello con i materiali più disparati. Dal bluegrass al rap, andata e ritorno. Dischi come questo sembrano fatti apposta per rilanciare all’infinito una vexata quaestio: fino a che punto sia lecito “rileggere” quei prodotti dell’arte e dell’ingegno che il gioco di forze degli eventi ha costruito, nel sentire comune, come “classici”. Si dirà: in epoca di postmodernismi spinti, dove la massima aspirazione (giustificazione?) è il fritto misto di cocci sparsi e lacerti culturali vari, alla ricerca del senso perduto, tutto è lecito. E lo era anche, per dire, quando si affrontava la musica barocca appena riscoperta con piglio romantico e urgenze espressive figlie di uno specifico zeitgeist. Nothing is true, everything is permitted, direbbe Bill Laswell. Sta di fatto che l’assunto si può rovesciare nell’esatto contrario, ovvero che nulla è permesso perché tutto ha un suo fondo di verità. Ovvero: prima indaga, e a fondo, poi agisci, con rispetto. Il Turtle Island Quartet, attivo da oltre un ventennio, è una specie di versione sbarazzina del Kronos Quartet. Come e più di loro amano sporcare l’algido equilibrio “classico” di violini, viole e violoncello con i materiali più disparati. Dal bluegrass al rap, andata e ritorno.

Hanno ottime pronunce strumentali, notevoli capacità virtuosistiche individuali, un suono d’assieme stagliato e ben definito. Adesso provano l’affondo finale, ovvero “fare John Coltrane per quartetto d’archi”. Alice Coltrane, vedova del Titano di Ascension benedice il tutto, dal retrocopertina. Basta? Forse. Si affrontano pagine essenziali di Coltrane dagli inizi ruggenti, si sfiora il periodo della collaborazione con Miles Davis, si pratica un sostanzioso affondo nel “classico dei classici” come lo ha costruito la vulgata jazzistica, ovvero A Love Supreme, si recuperano due non necessarie schegge d’omaggio a Coltrane a firma Mc Laughlin e Corea. Coltrane per quartetto d’archi funziona anche bene: perché (e non è da oggi che si è notato) l’apparente flusso di magma ribollente che sgorgava dal metallo ricurvo sottintendeva una ferrea logica strutturale: quindi anche la possibilità di riprenderne le “linee di canto” confuse, accennate, sottese nel gran fluire. Ma chi invece giudica l’uomo (il musicista, la sua poetica spinta fino alle estreme conseguenze, ovvero la musica come Verità) non scindibile dal “suo” strumento non proverà entusiasmi facili. (Guido Festinese)

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