Jazz

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ROY NATHANSON - Subway Moon

L’altosassofonista Roy Nathanson non è molto famoso dalle nostre parti; i più lo ricorderanno per i Jazz Passengers, gruppo con il quale collaborarono Elvis Costello, Jeff Buckley e, stabile in organico, Debbie “Blondie” Harry. Il suo ultimo progetto, sempre in collaborazione con il trombonista Curtis Fowlkes e altri nove musicisti (in evidenza il violino di Sam Bardfeld), si chiama Subway Moon. Lo scopriamo solo oggi, ma questo riuscitissimo disco tra jazz, spoken poetry, soul, hip-hop e…klezmer, sarebbe entrato di diritto tra i migliori dischi del 2009. Vi convivono tra l’altro la cover di uno dei più bei brani del Philly sound di Gamble and Huff – “Love train”, una scintillante versione quasi ‘a cappella’ con il beatbox di Napoleon Maddox – e le atmosfere zorniane di “Stand clear”. Imprescindibile. (Danilo Di Termini)

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BRAD MEHLDAU - Highway Rider

Aggiungere il proprio strumento ad un’orchestra è da sempre un’aspirazione per molti musicisti jazz. Gli esempi non mancano e nemmeno i fallimenti a dire il vero. Ci riprova Brad Mehldau, a sette anni dall’incerto “Largo”, anche in quel caso prodotto da Jon Brion, con dodici nuove composizioni per orchestra (diretta da Dan Coleman), un viaggio – nelle parole del pianista - al quale si uniscono il suo trio (Jeff Ballard alla batteria e Larry Grenadier al contrabbasso), il batterista Matt Chamberlain e i sax di Joshua Redman. Il risultato conferma le incertezze di una formula che resta spesso a metà del guado, in cui la fusione tra i vari elementi è imperfetta e superficiale. Non mancano alcuni momenti riusciti, soprattutto grazie alla vena di Redman, ma il viaggio si riduce a un girovagare senza meta. (Danilo Di Termini)

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MANU KATCHÉ, Third Round (ECM, 2010)

Terzo album del batterista francese per l’etichetta di Manferd Eicher e nuovo quartetto con Pino Palladino al basso, Jason Rebello al piano e al Fender, Tore Brunborg ai sassofoni (tra i quali un soprano ricurvo alla Garbarek). Le atmosfere sono le stesse dei due lavori precedenti, un jazz piacevole e rilassante, ottimo per sorseggiare un cocktail all'aperto, ma anche per aspettare con tranquillità la chiamata del dentista. Considerato che su YouTube si può anche vedere il video ufficiale di “Keep On Trippin’” (raro privilegio nel mondo del jazz) - dove al gruppo si aggiunge anche la chitarra di Jacob Young, l'ennesimo discepolo di Pat Metheny - la formula dev’essere vincente, almeno dal punto di vista commerciale. Per la musica, se non avete otturazioni in bilico, meglio rivolgersi altrove. (Danilo Di Termini)

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DEE DEE BRIDGEWATER - Eleanora Fagan. To Billie With Love

La cantante di Memphis non è nuova alla rivisitazione di songbook più o meno consolidati: in passato la Piaf, Horace Silver, Abbey Lincoln, Ellington e naturalmente la sua musa, Ella Fitzgerald. Ora è la volta di un omaggio a Billie Holiday,cantante apparentemente lontana dalle sue corde. Ma fin da una “Lady sings the blues”, che arriva dritta dritta dal viaggio in Mali di “Red earth”, la scommessa è vinta; poi il ritorno ad ambiti più strettamente jazzistici, con “All of me” in cui Dee Dee sfoggia una tecnica sopraffina, finalmente al servizio dell’interpretazione. Con lei un all-star quartet: Edsel Gomez, piano, Christian McBride, basso, Lewis Nash, batteria e James Carter, multistrumentista finalmente ritrovato, uno dei più grandi della storia del jazz: basterebbe lui a consigliare l’acquisto. (Danilo Di Termini)

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JOHN ZORN - In Search Of The Miraculous

Sul sito della Tzadik, l’etichetta del sassofonista newyorchese, l’annuncio suona inquietante: per il 2010 Zorn promette dodici nuovi cd. In attesa delle nuove composizioni per Dreamers, Moonchild e Book of Angels, ecco il primo dedicato all’Alhambra Trio (Rob Burger al piano e organo, Greg Cohen al contrabbasso e Ben Perowsky alla batteria) con l’aggiunta di Carol Emanuel all’arpa, Shanir Blumenkranz al basso Fender e Kenny Wollesen al vibrafono, l’unico presente anche nei due lavori immediatamente precedenti (“The Dreamers” e “O’o”). Nonostante il titolo e le note di presentazione (“dramatic, hypnotic and mysterious”), niente di miracoloso avviene nei nove brani, che scivolano via senza grandi sussulti, se si eccettua il sinuoso e prezioso “The book of shadows". Un po’ poco mister Zorn. (Danilo Di Termini)

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CHRISTIAN SCOTT - Yesterday You Said Tomorrow

Christian Scott da New Orleans è l’ennesimo trombettista ad essere insignito dell'etichetta di nuovo Miles Davis. Penalizzante e riduttivo al contempo:in realtà qui siamo più dalle parti di Freddie Hubbard, perlomeno dal punto di vista strumentale. Musicalmente invece, con i primi quattro brani, molto riusciti (anche la non facile cover di “Eraser” di Thom Yorke), il riferimento più immediato è un post-jazz contemporaneo che affonda le sue radici nella musica di Jon Hassell. A partire da "Angola, LA & The 13th Amendment", con l'arrivo al proscenio del chitarrista Matthew Stevens, chiaramente influenzato da Pat Metheny, le atmosfere virano verso una musica sempre impeccabile e piacevole all’ascolto, decisamente meno interessante. Disco controverso, ma stimolante. (Danilo Di Termini)

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