Jazz

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WILLIE NELSON /WYNTON MARSALIS FEATURING NORAH JONES - Here We Go Again Celebrating The Genius Of Ray Charles

Viene proprio da dire “ci risiamo” di fronte a questo live che riunisce, dopo il successo di “Two Men With The Blues “, ancora Nelson e Marsalis, questa volta con l’aggiunta di Norah Jones. Ci risiamo perché al di là del divertimento che traspare all’ascolto (esiste anche un dvd del 2009 con tre brani in più), difficilmente si riesce a immaginare un’operazione studiata a tavolino quanto questa, capace di attrarre tutto il pubblico che compra un cd all’anno; che è poi è la stragrande maggioranza e quello che interessa alle grandi case discografiche. Ci risiamo, perché i brani, provengono interamente dal repertorio di Ray Charles e non riescono ad aggiungere nulla di emozionante, nemmeno un brividino di sfuggita, ma solo a far crescere il rimpianto per il vero ‘genius’ che non c’è più. (Danilo Di Termini)

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VIJAY IYER - Tirtha

Il jazz, musica del mondo e generata da una composita matrice di elementi, guarda da sempre alle molteplici musiche del globo. Un atteggiamento, un'approccio culturale che nel tempo si è vieppiù rafforzato, a partire dal sempre più stringente tentativo, ad opera dei grandi della storia del jazz, di ricongiungersi con la madre Africa e le sue radici culturali e musicali, da cui tutto è scaturito. Perché una crescente attenzione per la musica africana e le sue infinite pieghe e articolazioni etniche ha portato il jazz e i suoi protagonisti a sviluppare un profondo rispetto per le tradizioni musicali (altre), che in molti casi ha prodotto e significato fruttuose operazioni di interscambio e dialogo tra musiche apparentemente lontane. Diciamo che dal Dizzy Gillespie di fine anni '40 in poi, ma forse anche da prima, passando per John Coltrane, l'Art Ensemble of Chicago, Don Cherry, fino ad arrivare al contemporaneo Steve Coleman, solo per fare qualche nome, il jazz, così come fino a quel momento era stato codificato, ha costruito un vero e proprio ponte ecumenico con il mondo e le sue svariate sonorità. Un'attenzione alle molte culture del pianeta che spesso si è spostata verso il Medio Oriente, l'India, l'Asia Centrale, oltre ovviamente all'Africa e a tutte le sue declinazioni.

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 BRAD MEHLDAU - Live In Marciac

Il precedente disco in solo del pianista di Jacksonville era il “Live in Tokyo” registrato il 15 febbraio 2003. Il doppio “in Marciac” si riferisce a un concerto dell’agosto 2006 e non sembrerebbe aggiungere nulla al suo percorso artistico: cinque originali, una scelta di classici (“It's All Right with Me” di Porter, un’emozionante “My favorite things”, una scoppiettante “Dat dare” di Bobby Timmons) e contemporanei (“Exit Music (for a Film)” dei Radiohead, “Lithium” dei Nirvana, “Things Behind the Sun”). Ma proprio il brano di Nick Drake, l’unico in comune con il disco del 2004, risolto ad un ritmo notevolmente maggiore e di tre minuti più lungo, è il sintomo di una profonda maturazione, di una consapevolezza sempre più sostenuta da una tecnica al servizio dell’espressione e mai fine a se stessa. Esaltante. (Danilo Di Termini)

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MUSICA NUDA - Complici

Continua felicemente il percorso artistico iniziato nel 2004 da Petra Magoni e Ferruccio Spinetti. Abbandonate quasi del tutto le cover degli inizi (qui solo l’irresistibile “Mirza” di Nino Ferrer, la toccante “Mon Amour” di Henri Salvador, “Felicità” di Lucio Dalla e un’aria di Bach), nelle quattordici tracce scritte dal meglio della canzone autorale italiana (Pacifico per “Una notte disperata”, Piero Marrale dei Matia Bazar sul testo di Bruno Lauzi che dà titolo all’album, Max Casacci dei Subsonica per “Rimando”) il duo ritrova la sobria essenzialità dell’incontro voce/contrabbasso, senza ospiti e strumenti aggiunti, con libertà di stupire e divertirsi (“Professionalità”). Per citare Al Jarreau che gli ha regalato il testo per l’Aria sulla quarta corda di Bach, “only two people, so much music!”. (Danilo Di Termini)

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PAOLO FRESU/A FILETTA  CORSICAN VOICES/DANIELE DI BONAVENTURA - Mistico Mediterraneo
In attesa dei cinquanta concerti con cinquanta diverse formazioni a cui Paolo Fresu sta lavorando per festeggiare il suo mezzo secolo (in Sardegna, dal 12 giugno al 31 luglio prossimi), il trombettista di Berchidda dà alle stampe questo lavoro registrato nel gennaio 2010, concepito insieme al bandoneonista marchigiano Daniele di Bonaventura e soprattutto in funzione del coro polifonico corso “A Filetta”. Il riferimento più immediato è a Jan Garbarek e ai suoi progetti con l’Hillard Ensemble, ma a tratti torna alla mente anche il bellissimo “Andina” di Dino Saluzzi con Enrico Rava. Fin dalle prime note è impossibile non restare affascinati dagli intrecci sonori, sospesi e dilatati con pacata ieraticità, a condizione di dedicare all’ascolto un’adeguata ed esclusiva concentrazione. (Danilo Di Termini)
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JOHN COLTRANE - At Temple University 1966

Inedita (fino a qui) registrazione live dell'ultima formazione guidata da John Coltrane. Del quartetto storico degli anni '60 è rimasto solo il superlativo contrabbassista Jimmy Garrison, gli altri due componenti (McCoy Tyner ed Elvin Jones) non sono più riusciti a seguire e comprendere la magmatica e impetuosa deriva free-centrica del grande sassofonista afroamericano. E' l'11 novembre 1966, siamo alla Temple University di Philadelphia, Coltrane (già malato) suonerà dal vivo, da qui fino alla fine della sua tormentata esistenza, solo una manciata di altre volte. Dopo questo 11 novembre, niente è più stato documentato (o almeno sembra), salvo un concerto newyorkese del 26 dicembre 1966, appannaggio di pochi collezionisti, e il famoso ultimo concerto all'Olatunji Center di New York, datato 23 aprile 1967, a solo un paio di mesi dalla morte. La presa del suono del concerto all'Olatunji è decisamente meno limpida di quella che caratterizza questo nuovo inedito alla Temple University, che si presenta, quindi, come l'ultimo (per il momento) importante documento in grado di testimoniare adeguatamente sulla parte conclusiva della vicenda artistica di John Coltrane, uno dei più importanti musicisti del ventesimo secolo. Oltre a Garrison, ad accompagnarlo in questo scorcio finale di carriera sono la moglie Alice al pianoforte, il sassofonista tenore Pharoah Sanders, tra i simboli di un libero ethno-jazz, e il grande batterista Rashied Alì, vero e proprio meastro di un'infervorata poliritmia. I quattro costruiscono attorno al leader un sapiente, accondiscendente e rispettoso spazio sonoro adatto ad accogliere tanta forza espressiva. Diciamolo subito, questo è il Coltrane che può far più male, quello che può davvero generare lo strazio più lacerante.

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