Jazz
“Quasi ogni giorno mi sveglio, bevo un caffè e scrivo musica”. Con una quarantina di album all’attivo e altri duecentocinquanta (circa) in cui ha assicurato la sua presenza, non abbiamo motivi per non credere alle parole del chitarrista di Baltimora; che poi definisce l’esperienza del suonare profondamente legata al rapporto con gli altri musicisti. Forse per questo “Music IS” è solo il terzo disco in solo, dopo “Ghost Town” del 2000 e “Silent Comedy” del 2013, costruito come un viaggio nella sua memoria musicale. Quanto questo percorso sia comunque innovativo lo dimostrano le versioni di “Pretty Stars” e di “Ron Carter”, entrambi apparsi originariamente in “Blues Dream”, o di “Monica Jane” da “This Land” (ma la cui prima versione risale ad un disco con Paul Bley del 1986), o ancora di “In Line” e “Rambler”(presente in due versioni totalmente differenti) dai primi dischi solisti per ECM. Innovazione che passa anche per un vecchio pianoforte di Keith Moon, arrivato a casa di Frisell dopo essere passato nelle mani di Richard Manuel della Band e di Ian McLagan degli Small Faces, per fare da cassa di risonanza all’amplificatore in “Think About It” o per il blues di “Go Happy Lucky”. La chitarra al massimo della sua espressione. (Danilo Di Termini)
Un primo disco, “Jukin”, nel 1971, poi quattro anni dopo la ‘vera’ partenza con una formazione in cui ritroviamo il solo Tim Hauser insieme ai nuovi Alan Paul, Janis Siegel e Laurel Massé: il successo è immediato, in anni in cui proporre un ritorno allo swing vocale potrebbe apparire totalmente anacronistico. Quando la Massé viene sostituita con Cheryl Bentyne nel 1979 arriva “Extensions”, con la versione di “Birdland” dei Weather Report - parole scritte dal padre dello stile vocalese Jon Hendricks – che vince due Grammy. Ne seguiranno altri, in particolare nel 1984 per “Vocalese” (il loro disco più jazz e più bello di sempre, con lo stesso Hendricks in regia e una pletora di ospiti da far rabbrividire) e nel 1987 per “Brasil” e l’incontro con la musica di Djavan, Ivan Lins e Gilberto Gil. Seguono anni meno brillanti, almeno discograficamente, perché dal vivo il gruppo non delude mai, con un live che sconfina nello show, impeccabile e trascinante. Oggi, dopo la scomparsa di Tim Hauser, sostituito da Trist Curless, una nuova fase, con la produzione di Mervyn Warren (membro del gruppo ‘rivale’ Take 6) e un repertorio che va dal rap anni ‘90 degli US3 di “Cantaloop (Flip Fantasia)” agli XTC di “The Man Who Sailed Around His Soul“ (da “Skylarking”), alla Rickie Lee Jones di “Ugly Man”, oltre a una serie di brani originali, tra cui “The Junction” in cui Warren campiona il primo grande successo del gruppo, “Tuxedo Junction”. Se l’obiettivo era innovare e al contempo rimanere perfettamente in linea - anche nei difetti, con qualche sdolcinatezza di troppo - con il percorso del gruppo, lo scopo è perfettamente raggiunto. (Danilo Di Termini)
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