Jazz
Registrato nell’agosto di cinque anni fa in uno dei locali storici del jazz newyorchese questo disco esce in occasione del compleanno dei due leader, entrambi nati il 23 maggio, anche se a vent’anni di distanza. Per l’occasione il settantenne pianista ha riunito compagni di lungo corso, come il contrabbassista George Mraz (i due si frequentano fin dagli album ECM di Beirach della fine degli anni ’70) e il batterista Billy Hart (insieme nel gruppo Quest con Ron McClure e Dave Liebman, imperdibili i dischi in duo con quest’ultimo, in particolare il recentissimo “Balladscape”); e compagni più ‘nuovi’, come il violinista tedesco Gregor Hubner, che ha partecipato alla recente trilogia dedicata ad altrettanti compositori classici (Round About Bártok, Federico Mompou e Monteverdi). A completare la formazione il trombettista Randy Brecker che nel primo brano “You Don’t Know What Love Is” ha il compito di evocare Chet Baker, con il quale alla fine degli anni ’70 Beirach ha iniziato la sua carriera. Trattandosi di un disco dal vivo i brani danno spazio a tutti i componenti del gruppo: ma se a tratti l’ascolto casalingo può soffrire di tale dilatazione, i dieci intensissimi minuti di “Siciliana” (da Bach) e gli oltre diciotto di “Elm”, la più celebre composizione del pianista, valgono il prezzo del biglietto. (Danilo Di Termini)
Per circa un decennio il poderoso Trio 3 ( Oliver Lake al sax contralto, Andrew Cyrille alla batteria, Reggie Workman al contrabbasso: praticamente un' eccellenza assoluta del jazz più radicale maturato negli anni Sessanta) ha scelto di farsi accompagnare da pianisti: Jason Moran, Geri Allen, Vijay Iver, tra gli altri), e sono state piacevoli, anche se a volte attendibili scintille creative. Adesso i tre, tutti in età da più miti consigli risfoderano le unghie, e danno fondo all'esplosiva capacità di mettersi empaticamente in gioco senza rete, e ne nasce questo magnifico, ostico, magmatico Visiting Texture. Dove troverete momenti di una tensione quasi non sopportabile, una dedica commossa a Max Roach, tutta giocata su metri irregolari, e la strepitosa ripresa di un brano di Ornette Coleman che il maestro del contralto libero non fece in tempo o non volle incidere, A Girl Named Rainbow, dallo speziato profumo folk. Centro, ma solo per orecchie allenate a note non banali. (Guido Festinese)
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