Jazz

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ENRICO PIERANUNZI - Play Gershwin

Ma come, un altro disco dedicato a Gershwin? Sì, un altro disco dedicato a Gershwin. Per fortuna. Nostra, e di chi, al di là della vacua supponenza di chi crede di ave ascoltato tutto, e tutto soppesato, ritiene di poter dare giudizi a priori. Gershwin quando è morto non aveva neppure quarant’anni: dunque tutta la sua musica è opera di un giovane geniale che affrontava le note con la stessa travolgente intensità di certi rocker che preferiscono “bruciare, piuttosto che arrugginire”. Ed ogni riferimento alla realtà è puramente voluto. Gershwin, ascoltato con orecchie pure, è “Forever young”, come canta Dylan. Bello allora che Enrico Pieranunzi, uno dei migliori pianisti jazz italiani, uno che anche quando sussurra sui tasti produce rombi di intensità emotiva  accanto al fratello Gabriele, violinista, e a un altro Gabriele, l’immenso Gabriele Mirabassi al Clarinetto abbia riletto Gershwin. Formazione timicamente atipico, esiti magnifici con un camerismo onirico e terreno al contempo. “Un americano a Parigi” e la “Rapsodia in Blu” come non li avete mai sentiti. (Guido Festinese)

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ANTONIO SANCHEZ - Lines In The Sand

Nato a Città del Messico, cresciuto musicalmente al Berklee college di Boston e poi alla corte di Pat Metheny, Antonio Sanchez ha perforato il muro della ristretta audience jazzofila con la partecipazione al film di Alejandro González Iñárritu “Birdman”, di cui ha curato anche la colonna sonora. Ora prova ad abbattere altri muri, quello drammaticamente autentico che corre lungo il confine tra Stati Uniti e Messico, e quello dell’ipocrisia nei confronti dell’immigrazione, un tema universale e contemporaneo su cui il batterista si è pronunciato fin dal suo primo disco per la CamJazz nel 2007 intitolato proprio “Migration”. Come scrive sul suo sito “Questo album parla dell'esperienza degli immigrati. Questo album non parla di me o di immigrati come me. Questo progetto parla dell'immigrato che è stato costretto a fuggire a casa per paura, persecuzione, guerra e carestia. Si tratta del tipo di immigrato costantemente demonizzato, ostracizzato e politicizzato da pochi potenti in nome di un nazionalismo fuorviato che sta rapidamente erodendo una qualità fondamentale negli esseri umani: la capacità di provare amore per le persone che hanno un aspetto diverso da noi fare ed empatia per le persone meno fortunate di noi. Questo album parla di loro e del loro viaggio”.

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STEVE KUHN TRIO - To and from the Heart

Il jazz è una musica fatta da musicisti che incrociano le loro traiettorie quasi compulsivamente: si incontrano, si lasciano, si ritrovano felicemente, oppure restano legati indissolubilmente pur nella varietà dei loro progetti. Steve Kuhn, originario di Brooklyn, classe 1938, ha incontrato Steve Swallow più di cinquant’anni fa, una registrazione nel 1966 a nome di Pete LaRoca, uno dei mentori del pianista. Con Joey Baron, batterista dell’avanguardia jazz, spesso al fianco di John Zorn e Bill Frisell, ma capace di trasformarsi in raffinato accompagnatore di standard restando inventivo e originale, il sodalizio risale ‘solo’ al 1995, con un disco ECM “Remembering Tomorrow“. Nel 2012 finalmente hanno formato un trio, arrivato oggi al terzo disco – dopo “Wisteria” e “At This Time” - che si apre con una solare composizione del leader, “Thining Out Load”, seguita da una sorta di standard, quella “Pure Imagination” che arriva dalla colonna sonora di Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato (dove la cantava Gene Wilder, qui l’arrangiamento ricalca la versione di Lou Rawls del 1976). Ancora due ballad, “Away” and “Never Let Me Go” e dopo “Into the New World” i tre entrano in “Trance”, composizione di Kuhn che risale al 1975, una sorta di omaggio al suo altro mentore, John Coltrane, con il quale suonò da gennaio a marzo del 1960 nel gruppo formato dal sassofonista che aveva appena lasciato Miles Davis. Il brano si fondecon “Oceans in the Sky”, formando un medley di oltre sedici minuti in cui i tre musicisti si prendono i loro spazi, finalmente liberi di dialogare senza freni o costrizioni. Il jazz è anche una musica fatta da ascoltatori che incrociano musicisti a volte casualmente: se non l’avete mai fatto questo è il disco per incontrare un grande come Steve Kuhn. (Danilo Di Termini)

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CHARLES MINGUS - Jazz In Detroit / Strata Concert Gallery / 46 Selden

Nel 1973 Charles Mingus sembra essersi messo alle spalle il periodo peggiore della sua vita: la drammatica scomparsa di Eric Dolphy nel 1964 lo aveva colpito così profondamente da tenerlo lontano dalla musica praticamente fino alla fine del decennio. Alcuni concerti in Francia hanno preceduto il ritorno all’attività discografica (avvenuto con la pubblicazione di “Let My Children Hear Music” per la Columbia nel 1971); poi ancora un tour europeo nel 1972 e infine nel 1973 l’allestimento di un quintetto che avrà vita breve (mai documentata fino ad oggi) con Roy Brooks alla batteria, John Stubblefield al sax, Joe Gardner alla tromba e Don Pullen al pianoforte (’unico che ritroveremo negli ultimi lavori del contrabbassista che, dopo la diagnosi del morbo di Lou Gehrig nel 1977, scomparirà il 5 gennaio del 1979). È questa la formazione che si esibisce dal 13 al 18 febbraio a Detroit alla Strata gallery; la prima serata viene trasmessa da una radio locale e i nastri della registrazione finiscono in casa della moglie del batterista, da dove riappaiono solo l’anno scorso. Ora vedono la luce in un triplo cd che contiene anche una lunga intervista con Roy Brooks, oltre ad alcuni titoli classici della discografia di Mingus quali “Pithecanthropus Erectus” e “Orange Was The Color Of Her Dress”. Siamo lontani dai capolavori degli anni ‘50-’60 (anche per il livello non eccelso dei comprimari), pur con la consueta peculiarità di un musicista in grado di far suonare una band come un unico strumento; anche la registrazione, appena sopra la soglia dell’accettabilità, induce a consigliare l’acquisto solo a chi possiede almeno i titoli più importanti della discografia di uno dei protagonisti del jazz contemporaneo. (Danilo Di Termini)

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JOHN COLTRANE - 1963: New Directions

Non suoni irriverente la citazione montaliana, ma di fronte a questo ‘nuovo’ box di tre cd di John Coltrane è corso spontaneo il pensiero alla poesia che apre “Ossi di Seppia”, Non chiederci la parola che squadri da ogni lato. All’immaginaria domanda del lettore, che poi si presume anche essere il destinatario finale del prodotto, sul significato di un’operazione del genere – raccogliere in un elegante cofanettino tutte le registrazioni di Coltane dell’anno domini 1963 – non sappiamo rispondere se non con una ridda di ipotesi: dalla ricerca del fatturato alla volontà di riclassificare tutta l’opera di Trane in ordine cronologico, ogni congettura potrebbe essere quella giusta. Meglio non farsi domande e scorrere i titoli che provengono, per il primo cd, da "Both Directions at Once" (l’inedito pubblicato a giugno 2018, seduta del 6 marzo dell’anno in questione), sei in tutto, ma si arriva a tredici brani con le take alternate, ovviamente consecutive per incoraggiare l’ascolto comparato. Il secondo cd si apre con “Slow Blues” sempre dal 6 marzo e prosegue con la seduta del 7 in cui al quartetto storico - McCoy Tyner, Jimmy Garrison, Elvin Jones – si aggiunge la voce di Johnny Hartman (il disco è “John Coltrane & Johnny Hartman”, uno dei più grandi successi commerciali del sassofonista); chiudono il secondo cd “After the Rain” e “Dear Old Stockholm” (registrate il 29 aprile 1963 con Roy Haynes alla batteria e pubblicate rispettivamente in “Impressions” e nella raccolta omonima ) e “I Want to Talk About You” (live at Newport Jazz Festival del 7 luglio 1963). Il terzo cd riprende da quel festival con “My Favorite Things” e “Impressions” (tutti editi: se non le volete sparpagliate esisteva già un “Newport ‘63” che le includeva tutte) per poi spostarsi al Birdland l’otto ottobre e nello studio di Rudy Van Gelder il 18 novembre per complessive cinque tracce che trovate comodamente nel celeberrimo “Live at Birdland”.

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ANDREW CYRILLE, WADADA LEO SMITH, BILL FRISELL - Lebroba

Se «scrivere di musica è come danzare di architettura» (frase attribuita anche a Frank Zappa, ma non ci sentiamo di accreditarla con certezza), sarebbe inutile anche solo provarci. Ma poiché nessuno rinuncerebbe a parlare d’amore [che pure, se non si esplicita in gesti, parole, opere (e omissioni), sfugge a qualunque enunciazione] mi accingo a scrivere di questo disco che in realtà andrebbe solo ascoltato. Bastano infatti pochi secondi di “Worried Woman”, brano di Bill Frisell che proviene da “Beautiful Dreamer” del 2010, per accorgersi di come “Lebroba” - il titolo è la contrazione di Leland, Brooklyn e Baltimora, i luoghi di nascita dei tre protagonisti – sia una di quelle opere che fin dalle prime note circuisce, ammalia, coinvolge, fino a far sentire l'ascoltatore il quarto membro del gruppo, colui che porta a compimento l’opera (d’arte). La lunga e dialogata suite, composta dal trombettista Wadada Leo Smith, “Turiya: Alice Coltrane Meditations And Dreams: Love” conferma la prima impressione: benché i tre abbiamo incrociato sporadicamente i loro strumenti (Frisell nel precedente ECM di Cyrille’ “The Declaration of Musical Independence”) e mai contemporaneamente, l’interazione è assoluta, come ribadiscono anche “TGD”, libera improvvisazioneco-firmata paritariamente e i due brani del batterista, il blues malinconico che dà titolo al disco e la conclusiva e sognante “Pretty Beauty”. Poco più di quaranta minuti di musica con i tre musicisti all’apice della loro espressività, con una menzione speciale per il leader, inarrivabile nell’intrecciare e tenere insieme le linee espressive di un piccolo autentico capolavoro. (Danilo Di Termini)

Top ten del mese

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