Il Diario di Disco Club
Diario del 4 luglio
Clienti teorici, davanti alla vetrina, lui "Cos'è quella cosa che voleva Emanuele?", lei "Occidentali's Karma, ma non possiamo prenderlo su internet?", lui "Non ti ho mica detto che lo prendiamo qua, volevo solo vedere se ce l'avevano per contrattare sul prezzo". Non lo trova in vetrina, non entra, non contratta.
Sempre Gabbani alla ribalta, questa volta per una telefonata. "Discooocluuuub", donna, "Pronto volevo sapere se avete i biglietti per il concerto di Gabbani", "Sì", "E' possibile prenotarli?", "No, è possibile venirli a prendere", "Ah, dove siete in via San Vincenzo? Non vi ho mai visto", "Beh, sono solo 51 anni e 6 mesi che siamo qui", "All'inizio o alla fine?", "All'inizio", "Da che parte?", "Scusi, se lei mi ha chiesto inizio o fine, dovrebbe sapere qual è l'inizio", lei, confusa, "Ma come faccio a trovarvi?", "Senta, in via San Vincenzo, come in tutte le strade, l'inizio si riconosce perché i numeri civici salgono, mentre alla fine scendono, i numeri pari sono a sinistra e i dispari a destra, in più ci sono i numeri rossi, noi siamo al 20r, inizio, sinistra, numero rosso. Coraggio, può farcela".
Dimenticavo, la prima telefonata è arrivata alle 8:15, mentre stavo aprendo, non rispondo, è troppo presto, seconda alle 8:35, stesso numero, non rispondo, 9:00, è l'orario di apertura, posso rispondere, "Discooocluuub", sempre voce femminile, "Avete i dischi della Harley Davidson?".
Seconda telefonata, "Discooocluuub", uomo, "Sto cercando l'uccellino della comare", "Qui non c'è".
Ancora al mattino, telefono, "Discoooocluuuuub", ragazza, "Buonasera", io "Buongiorno", "Ah, sì, scusi, buongiorno. Sono la figlia di mio padre", "Lapalissiano", lei, ancora più agitata, "Cioè, sì, mi ha detto che ha ordinato il cd di Riki, quello di Amici". Quale padre, tale figlia.
Giornata telefonicamente dura. Pomeriggio, "Discoooooocluuuuuuub", anziano, "Cerco il tormentone dell'estate Despancito, non so se è portoghese o sudamericano", "Non lo abbiamo", "Come mai? Lo suonano da tutte le parti, non siete aggiornati?", "Sui tormentoni no".
Chiusura in bellezza, ragazzo "Cerco disperatamente il vinile di Bowie con i baffi".
18:59, suona il telefono, rispondo o non rispondo? Vince la curiosità di sapere chi è l'ultimo rompiballe telefonico del giorno, "Diiiscooooooooooooooooooooooooooocluuuuuuuuuuuuuuuuuuub". Non lo saprò mai, ha posato.
Diario del 23 giugno 2017
dal buon ritiro (nemmeno tanto, 34 gradi) di Piossasco.
E' tutta la notte che le vibrazioni del telefonino, col loro "uuu", mi svegliano segnalandomi l'arrivo di un muovo messaggio. Adesso su messenger abbiamo già superato i cinquanta. Quest'anno a vincere la gara a chi prima mi scrive gli auguri, è stato Alessio Gozzi (alle 0,01). A dire il vero uno lo ha battuto, Franco Ricciardi, ma barando, alle 22,49 non vale. Aggiungiamoci tutti quelli che lo hanno fatto direttamente nella pagina facebook e tutti quelli che ancora non lo hanno fatto. Eppure io ve lo avevo detto.
"Oh belin, ci risiamo. Ve l'avevo già detto di lasciar perdere gli auguri per il mio compleanno e invece voi insistete, anzi vi moltiplicate. Facile per voi, che avete 10, 20, 30, 40 e qualcuno 50 anni di meno, dire il solito "ma non li dimostri, non contano quelli che hai, ma quelli che ti senti"; io invece li conto e ci vuole una vita (appunto) per arrivare a 70.
Aggiungiamoci che 22 giorni fa sono diventato nonno, NONNOOOOO!
Questa parola mi riporta ai miei di nonni. Quelli naturali non li ho conosciuti, il materno perso nella prima guerra mondiale (in combattimento), quello paterno durante la seconda (peritonite). Ho ripiegato su due nonni di riserva, entrambi dalla parte di mia mamma: il primo aveva sposato la nonna Cate, giovane vedova di guerra, ed era il mio preferito. Abitava a Sestri Ponente, sulle alture, da buon contadino piemontese aveva il suo orto, alberi da frutta e allevava galline e conigli. Si era anche fatto davanti a casa un campo da bocce e mi aveva insegnato a giocare, facendomi diventare un campione in erba come bocciatore, soprattutto nelle gare di tappadda. Scommetto, ignoranti, che non sapete cos'è la tappadda, vero? Il gioco consiste nel mettere due bocce in verticale a dieci centimetri circa di distanza l'una dall'altra e bocciare, cioè colpire, la seconda senza toccare la prima. Ci riuscivo spesso facendo "cianta al posto" (anche questo, m'immagino, non sappiate cosa vuol dire: colpendo la seconda boccia sostituirsi a quella, appunto, sul posto). Altre cose che ha insegnato al me bambino: pranzo alle 12 e cena alle 19 in punto e se qualcuno non c'era fatti suoi, lui incominciava; capitolo ravioli, prima di mangiare quelli col tuccu, si faceva servire come antipasto un piatto di ravioli col vino.
L'altro nonno acquisito, Pippo, è quello che ha allevato mia mamma, povera orfanella di guerra. Lui me lo sono trovato in casa quando ero bambino e non era un piacere. L'arteriosclerosi gli aveva procurato parecchi problemi, che si erano riversati su mia mamma e di conseguenza su tutti noi: cadute notturne dal letto (e per rialzarlo ci sarebbe voluto un paranco, visto che pesava sui 100kg), memoria svanita, piaghe alla testa dovute al malfunzionamento della circolazione sanguigna e questa era la cosa che più mi angustiava; già ero magrolino e non un mangione e vedermi davanti a tavola quella testa fasciata con macchie di sangue, schizzinoso com'ero, mi faceva passare all'istante ogni voglia di mangiare; per compensare questa inappetenza, mia mamma mi faceva delle merende abbondanti con panini energetici (olio e sale oppure burro e zucchero) e uova sbattute con lo zucchero (senza marsala). A gennaio del 1958 la malattia ebbe la meglio sul nonno Pippo, che se ne andò (non in un'altra casa, proprio via definitivamente) e devo confessare una cosa: non mi dispiacque. Lo so, adesso direte "che bambino cinico", ma non vedermelo davanti a tavola ha aumentato il mio appetito e poi si era liberata una stanza, dove passava mia sorella e io scalavo dal divano in stanza coi miei genitori a quello in sala (per diventare anni dopo proprietario della stanza di nonno Pippo quando mia sorella si sposò).
Arriviamo al punto. Sapete quanti anni aveva questo mio nonno, che ha angustiato la mia vita (poveretto, incolpevolmente) quando ero bambino, al momento in cui ci ha lasciati? Settantadue, 72 anni!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Solo due di più di quelli che ho compiuto oggi. A pensarci mi sento già vecchio, nonostante le vostre rassicurazioni. e i vostri auguri mi rattristano ancora di più, allora mi alzo e vado a guardarmi allo specchio.
Nooooooooooooooooooooooooooooooo! Ve lo dicevo che, quando si supera questa asticella, si invecchia in un attimo!"