Rock
C’è un senso di (piacevole) resa nel parlare (bene, come vedrete) del nuovo disco delle Breeders nel 2018, a 25 anni circa da quando un disco delle Breeders poteva considerarsi “nuovo”. Sono, queste di All Nerve, belle canzoni staccate da ogni contesto culturale o sociale (o estetico, perfino); sono ricordi di altre culture (quella “alternativa” di metà anni ’90) buttati nella baraonda odierna. E quindi per venire al punto: Kim Deal e compagnia sanno scrivere canzoni e qui si sente; sanno anche arrangiarle e sporcarle e renderle personali (e qui si sente); sono a proprio agio nella melodia della ballata come nella distorsione della chitarra. Non c’è nulla che non vada in All Nerve. Solo è strano percepire come classico (nel senso del country, per dire) un modo di fare musica che fu anti-classico. La rilevanza è andata, le canzoni restano. (Marco Sideri)
Non vuole lasciare dubbi o ingenerare false attese: fin dall’apertura di “Queen” Tracey Thorn mette subito in chiaro che questo disco non avrà niente a che fare né con il precedente “Tinsel and Lights”, ormai risalente al 2012, né con l’omaggio a Molly Drake (sì, la mamma di Nick) del 2014 o con “Songs from the Falling”, l’EP-soundtrack dell’anno seguente. Con la produzione è di Ewan Pearson, guru dell’elettro-pop, tutte le nove canzoni sono inevitabilmente ridipinte con una scintillante patina da “Dancefloor” (titolo che chiude l’album), con l’aiuto di Stella Mozgawa e Jenny Lee Lindberg delle Warpaint, rispettivamente alla batteria e al basso. La nostra adorata Tracey ha dichiarato che voleva realizzare “un album da ascoltare in pieno giorno. In cuffia o in movimento. Non necessariamente di sera o in camera”. In questo senso il risultato è raggiunto, soprattutto con “Sister”, 9 minuti ipnotici dove il controcanto è assicurato dalla bellissima voce di Corinne Bailey Rae. Ma per noi vecchi nostalgici è ancora e solo una ballad come “Face” a farci venire un brividino: forse poco per decidersi all’acquisto? (Danilo Di Termini)
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