Rock
Qualcuno, non in Italia, s'è divertito a strapazzare questo disco, il primo inciso assieme da Stephen Stills e Judy Collins (sì, proprio, lei la signora “dagli occhi blu” che cantavano assieme Crosby, Stills & Nash, quasi mezzo secolo fa). Varrebbe insomma la finta regola per cui i Rolling Stones sono “giovani per sempre”, e tutti gli altri da reparto geriatrico. Le cose non stanno così: Stills ha la voce più affaticata, ma se tentate un blind test sugli armonici della signora Collins, l'anagrafe non vi aiuterà: ci sono tutti. E conta il nobile artigianato rock e autoriale dei nostri, che si divertono a citare anche Dylan e Cohen, con versioni misurate e convincenti di vecchi classici, gran spolvero di arpeggi acustici, classe ed eleganza a fiotti, un inizio pressoché perfetto con Handle with Care. Un disco, insomma, che potrebbe stare accanto, mutatis mutandis, a quello recente di Crosby. La qualità non va mai in pensione. (Guido Festinese)
A settantasei anni compiuti (il 14 agosto) David Crosby sembra godere di una seconda giovinezza: dal 2014 a oggi ha pubblicato tre dischi solisti, tanti quanti ne aveva incisi fino a quel momento dal meraviglioso esordio di “If I Could Only Remember My Name”. Il percorso iniziato con “Croz” e “Lighthouse”, prosegue con questo album in si cui rinnova la collaborazione, nella scrittura e nella produzione, con il figlio James Raymond (il cognome diverso si spiega perché i due si sono ritrovati negli anni ‘90 quando il ragazzo, adottato, ha scoperto chi era il suo vero padre). Al di là dei legami biologici, la propensione al jazz di Raymond, assecondata dalla presenza di Michael League degli Snarky Puppy e di musicisti come il sassofonista Steve Tavaglione e il bassista Mai Agan, evidentemente cultori dei Weather Report periodo Pastorius, contribuisce a sospingere le atmosfere musicali dell’album verso un jazz vocale e crepuscolare, in cui gli Steely Dan (l’apertura di "She's Got to Be Somewhere") incontrano la West Coast più raffinata (non a caso l’unico brano non originale è una struggente "Amelia" di Joni Mitchell, da “Hejira” del 1976).
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