Jazz

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THELONIOUS MONK - Monk

La vicenda di Thelonious Monk è una delle più affascinanti e misteriose di tutta la storia del jazz. Enigmatico almeno quanto la sua musica, profonda e imperscrutabile nella sua apparente semplicità, debutta discograficamente negli anni ‘40 con le sedute del Minton's Playhouse con Charlie Christian e Kenny Clarke, che storicamente segnano l’esordio del be-bop. Ma ‘Sphere’ - uno dei suoi tanti soprannomi – attraverserà tutti i generi degli anni a venire, impermeabile a ogni evoluzione, continuando a suonare praticamente solo la sua musica, la maggior parte dei titoli incisi nelle fondamentali registrazioni Blue Note del 1947 e in quelle Prestige degli anni immediatamente successivi. Anche questo concerto del 1963 (curiosamente lo stesso anno del recente “Both Directions at Once: The Lost Album” di John Coltrane: ma dove là c’era un disco inedito, qui c’è solo un concerto, di un anno peraltro già ampiamente documentato da svariate registrazioni ufficiali e bootleg) non sfugge alla regola: i tre brani di Monk - “Bye-Ya”, “Nutty”, “Monk’s Dream” - provengono da sedute degli anni ‘50 e i due standard prescelti - “I'm Getting Sentimental Over You” e “Body and Soul”, quest’ultima eseguita in solo - sono anch’essi temi ricorrenti nella produzione del pianista di New York.

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MARCIN WASILEWSKI - Live

Arrivati alla ribalta come accompagnatori del trombettista polacco Tomasz Stanko (scomparso nel luglio scorso), Slawomir Kurkiewicz (contrabbasso), Michail Miskiewicz (batteria) e Marcin Wasilewski (pianoforte) già da qualche anno si erano affrancati dal loro mentore per intraprendere un’attività ‘originale’ che li ha portati a incidere quattro dischi per ECM. Questo è il loro primo live, registrato nell’agosto 2016 al Middelheim Jazz Festival di Anversa dove il confronto con un audience di oltre 4.000 persone ha in qualche modo costretto il trio a rendere più energica la sua musica. Ne beneficia il repertorio, in passato soggetto a qualche leziosità di troppo, in questo caso quasi tutto proveniente dal disco del 2014 “Spark of Life”. Si tratta di quattro originali e due cover: una di “Message in a Bottle” dei Police (che non si rivela particolarmente adatta a una rilettura jazz), l’altra "Actual Proof" di Herbie Hancock (scritta originariamente per il film “The Spook Who Sat By The Door”, “Freeman - L'agente di Harlem” in Italia), uno dei grandi ispiratori del lavoro del trio. Un buon disco di piano trio, forse il migliore ad oggi di questo gruppo. (Danilo Di Termini)

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JOHN SZWED - Billie Holiday

“La sua voce è sopravvissuta ai cambiamenti del gusto del pubblico durante l’epoca del rock, e ci raggiunge ancora nei caffè, nei ristoranti, nelle colonne sonore, nei musical dedicati alla sua vita e alle sue canzoni , negli innumerevoli album tributo, nelle allusioni rock (Angel of Harlem degli U2), o addirittura nei cartoni animati per la tv (God Bless the Child cantata dai Simpson), nei videogames (Grand Theft  Auto)”: così scrive in  apertura del suo nuovo testo John Szwed, storico del jazz, già autore di due importanti biografie precedenti, rispettivamente dedicate a Sun Ra e a Miles Davis. Qui le difficoltà sono moltiplicate, perché la “voce sopravvissuta” è quella della più espressiva vocalist jazz della storia, Billie Holiday. E’ vero, Billie Holiday non passa mai, anche nella Penisola così lontana dai locali di New York, e che la trattò davvero male quando le, allo scorcio della vita, fece una breve comparsa in Italia. E magari si potrebbe ricordare che anche di recente una vocalist italiana le ha reso omaggio, Chiara Luzzi con Floating - Visions of Billie Holiday. Billie Holiday è figura indagatissima: oltre quaranta i libri sulla sua breve vita. In cui di volta in volta prevale una visione tragicamente sensazionalistica della sua vita “noir” ulcerata da droghe, violenze subite da giovanissima, incapacità di avere rapporti affettivi degni, o, al contrario, quasi angelicata, come nel titolo della canzone degli U2, dove Billie Holiday appare come una sorta di algida creatura disincarnata dal mondo, e con una misteriosa capacità si sublimare ogni bassezza in puro rivolo di canto. Zweed sfronda il tutto, traccia inediti paralleli tra le chanteuse dei club parigini e i cantanti gospel, soul e rap afroamericani, riprende l’indagine necessaria sulle canzoni in repertorio e la cantante, con quell’ottava scarna di voce che riusciva a dire tutto, con calibrate sfumature infinitesimali di intonazione. Un libro necessario. (Guido Festinese)

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JOHN COLTRANE - Both Directions At Once: The Lost Album

Sonny Rollins, piuttosto acciaccato nel fisico, ma ben lucido con la testa, ha dichiarato, a proposito di questo disco, che è come se fosse stata scoperta una nuova stanza segreta nella Grande piramide. Bella immagine, perché questi nastri del marzo del 1963 davvero erano un grande buco nero nella storia del jazz. I  fatti ci dicono che il 7 marzo John Coltrane con il suo quartetto stellare (McCoy Tyner, Jimmy Garrison, Elvin Jones) avevano una seduta di registrazione prenotata con il vocalist Johnny Hartman, per incidere un disco non certo memorabile. In realtà il giorno prima il Quartetto era già in studio, per tutto il giorno, e anche per provare brani nuovi. Una copia di quei nastri (bobina originale scomparsa) finisce a casa Coltrane: lui vuole farli ascoltare alla moglie. Fine della storia.

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 ROBERTO MAGRIS SEXTET - Live in Miami @ The WDNA Jazz Gallery

E' successo abbastanza spesso che musicisti jazz italiani di ottima levatura abbiano trovato negli Stati Uniti il terreno più confortevole per suonare, elaborare progetti, trovare compagni di suono e di palco perfettamente in linea con l'estetica richiesta. La prima ad andarsene fu Patrizia Scascitelli, nome molto amato nei lontani anni Settanta. Dal 2006 fa base a Kansas City ( la città di Count Basie) Roberto Magris, triestino giramondo, pianista assai più avventuroso nel tocco e nelle concezioni di quanto in genere gli venga riconosciuto. Magris s'è chiaramente formato alla scuola harboppistica, ma quando suona emerge anche un'anima più sperimentale, e nel calore incendiario delle sue improvvisazioni ci sono anche momenti di climax che mettono in conto “cluuster” di note alla Don Poullen. Il nuovo disco è registrato a Miami dal vivo con il suo sestetto, con la tromba svettante di Brian  Lynch che a tratti può rammentare le volute di fiamma di Jack Walrath con Charles Mingus. Splendido il tributo a Roland Kirk, April Morning, un autore non sempre ricordato come dovrebbe essere. (Guido Festinese)

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ANDREA PAGANETTO - Nove

Buone notizie dal jazz ligure. C'è chi ha voglia di avventura sonora, muovendosi su quel crinale sottile fatto di azzardi e conferme, comunicativa e sintesi di diverse estetiche. Come il trombettista Andrea Paganetto, già attivo nel Free Area Quartet, e ora approdato al primo lavoro solistico  con eccellenti compagni di viaggio. Matteo Anelli al contrabbasso, Daviano Rotella alla batteria, Mauro Avanzini  al contralto, flauto e bansuri, il traverso indiano: tutti nomi che non hanno mai raccolto per quanto hanno seminato e per quanto meritavano. Paganetto è riuscito poi ad avere in studio Maurizio Brunod, il visionario chitarrista che da decenni lascia il segno nel jazz più disposto a mettersi in gioco e confrontarsi con la contemporaneità tutta, e Emanuele Parrini a viola e violino. Se c'è un nome che fa da nume tutelare a questo disco, potrebbe essere quello di Ornette Coleman, peraltro anche esplicitamente omaggiato nella settima traccia. Ma c'è anche tutta la lezione dei veterani dell'Art Studio, per restare in Italia, l'ombra di Kenny Wheeler, ed anche il ricordo di certe brucianti avventure elettriche di Rava di qualche anno fa. In definitiva: belli i temi, (finalmente) imprevedibili gli sviluppi, ottimi i musicisti, a partire dal titolare del disco, dotato di una sonorità luminosa e stagliata. Firma le note Javier Girotto. (Guido Festinese)

 

 

 

 

 

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