È una lunga storia d’amore quella tra il jazz e Johann Sebastian Bach, iniziata con il bebop e Parker - affascinato dal rigore armonico delle sue composizioni – proseguita con John Lewis e il Modern Jazz Quartet (senza dimenticare Nina Simone o John Coltrane, fino a un recente disco in cui Ramin Bahrami e Danilo Rea lo reinterpretano a quattro mani, ognuno nel suo stile) e sfociata in una prospettiva più ‘commerciale’ nelle riletture da ‘salotto borghese’ di Jacques Loussier e del gruppo vocale Swingle Singers. Le variazioni sul tema, il ritmo, la forma della composizione, fanno del musicista settecentesco un interlocutore privilegiato per l’universo afro-americano e ora tocca a Brad Mehldau cimentarsi con la musica dell’autore settecentesco. Il pianista originario della Florida ha studiato musica classica fino a 13 anni e ha al suo attivo anche un disco, “Love Song”, con la soprano Anne Sofie von Otter. "After Bach" affonda le sue radici in una commissione del 2015 della Carnegie Hall, e si articola in cinquetra Preludi e Fughe, seguiti da una composizione di Mehldau che replica, citando, deformando, variando, quella originale.
Fino alla conclusiva “Prayer for Healing”, un lungo brano dolente in cui Mehldau ritrova il suo stile, introspettivo ed espressionista. Per chiarezza specifichiamo che non siamo di fronte ad un disco di jazz, ma i fan del piano solo troveranno musica per le loro orecchie. (Danilo Di Termini)