Stampa
PDF
 
Jazz Recensioni VIJAY IYER - Tirtha
 

VIJAY IYER - Tirtha VIJAY IYER - Tirtha Hot

VIJAY IYER - Tirtha

Dettagli

Artista
Titolo
Tirtha
Anno
Casa discografica

Il jazz, musica del mondo e generata da una composita matrice di elementi, guarda da sempre alle molteplici musiche del globo. Un atteggiamento, un'approccio culturale che nel tempo si è vieppiù rafforzato, a partire dal sempre più stringente tentativo, ad opera dei grandi della storia del jazz, di ricongiungersi con la madre Africa e le sue radici culturali e musicali, da cui tutto è scaturito. Perché una crescente attenzione per la musica africana e le sue infinite pieghe e articolazioni etniche ha portato il jazz e i suoi protagonisti a sviluppare un profondo rispetto per le tradizioni musicali (altre), che in molti casi ha prodotto e significato fruttuose operazioni di interscambio e dialogo tra musiche apparentemente lontane. Diciamo che dal Dizzy Gillespie di fine anni '40 in poi, ma forse anche da prima, passando per John Coltrane, l'Art Ensemble of Chicago, Don Cherry, fino ad arrivare al contemporaneo Steve Coleman, solo per fare qualche nome, il jazz, così come fino a quel momento era stato codificato, ha costruito un vero e proprio ponte ecumenico con il mondo e le sue svariate sonorità. Un'attenzione alle molte culture del pianeta che spesso si è spostata verso il Medio Oriente, l'India, l'Asia Centrale, oltre ovviamente all'Africa e a tutte le sue declinazioni.

Nel caso di Vijay Iyer, talentuoso pianista americano di origini indiane, tra i jazzisti più interessanti della nuova generazione, va da sé che sia proprio il rapporto tra il linguaggio afroamericano e quello indiano ad essere costantemente al centro delle sue alchimie in musica. Iyer, infatti, è abituato da sempre a fondere il jazz, di cui è profondo conoscitore, con i cicli ritmici, le sonorità, la microtonalità, la quieta sospensione della musica classica indiana. In questo "Tirtha" lo troviamo alla guida di un duo di connazionali (si fa per dire!), entrambi raffinati musicisti indiani trapiantati a New York: il chitarrista elettrico Prasanna e il suonatore di tabla Nitin Mitta. Un trio piano, tabla, chitarra, sostanzialmente acustico se si esclude l'elettricità della sei corde di Prasanna, che mescola senza forzature, e forse nel modo (fin qui) più riuscito nella musica di Iyer, il jazz, la musica indiana e il rock - che raramente il pianista di cultura tamil perde di vista, soprattutto quando utilizza l'elettronica - pur rimanendo perfettamente nel solco della tradizione jazzistica e delle sue dinamiche interattive. Oltre al leader, sempre originale sulla tastiera dal punto di vista ritmico, timbrico e armonico, brillano le doti tecniche del chitarrista Prasanna, capace di suonare l'elettrica, ricordando al medesimo tempo un sitar indiano, con tutti i suoi riverberanti armonici e ossessivi microtonalismi, il cromatismo di uno dei chitarristi più colti dell'art-rock che fu, quell'Holly Halsall, che tanto ha nobilitato la musica dei Patto, e le mirabolanti evoluzioni di John McClaughlin ai tempi della gloriosa Mahavishnu Orchestra. Eccezionale nel cd la costante sovrapposizione di ritmi adottata dai tre protagonisti, un'intricata polimetria (in aggiunta ad una già complessa poliritmia) che nulla toglie alla sorprendente ricerca armonica e alla qualità di tutte e nove le composizioni. Se, poi, un appunto bisogna rivolgere a questo ultimo documento sonoro di Iyer, che segue l'illuminante "Solo", pubblicato ancora dalla ACT lo scorso anno, è la sensazione che manchi un defintivo amalgama tra i due strumenti armonici (quelli di Prasanna e Vijay) con le tabla di Nitin Mitta, straordinario e sensibile solista, che però a tratti appare un po' come isolato dal contesto o addirittura invadente. Un contrasto forse voluto dai tre, che però riesce a disorientare, a creare un'effetto straniante. Un peccato, perché la parola sanscrita Tirtha in ambito puramente spirituale indica un luogo sacro in cui le preoccupazioni quotidiane scompaiono, e dove è possibile passare facilmente ad uno stato più profondo e più assoluto dell'essere. Una sorta di pace interiore che il disco avrebbe tutti gli elementi per regalare del tutto, se non fosse per questo mancato defintivo accordo tra le parti in causa. Un elemento, comunque, non così rilevante da intaccare il valore intrinseco dell'intero progetto, che si distingue per l'assoluta ricchezza del pensiero musicale. Ammirevole. (Marco Maiocco)

 

Recensione Utenti

Nessuna opinione inserita ancora. Scrivi tu la prima!

Voti (il piu' alto e' il migliore)
Giudizio complessivo*
Commenti
    Per favore inserisci il codice di sicurezza.
 
 
Powered by JReviews

Login