Jazz

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MILES DAVIS - Rubberband

Sembra oramai che il jazz stia cercando nella scoperta di inediti il suo respiro vitale. Qui non siamo proprio di fronte a un disco dimenticato negli scaffali di una casa discografica o di un concerto impeccabilmente registrato di cui si erano perse le tracce, bensì a un materiale che all’epoca – siamo nel 1985, dopo “You're Under Arrest” e “Aura” - fu esplicitamente scartato dall’autore e dalla casa discografica. Infatti nonostante il coinvolgimento di Al Jarreau e Chaka Khan, la Warner nella persona di Tommy LiPuma preferì archiviare quegli ‘abbozzi’ e segnare lo storico abbandono della Columbia solo l’anno successivo con “Tutu” prodotto da Marcus Miller. Ora quelle sedute diventano undici brani, con la produzione di Randy Hall (di cui Miles all’epoca aveva già interpretato “The Man with the Horn”), Attala Zane Giles e la presenza del batterista Vince Wilburn Jr, nipote di Davis.

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ENRICO RAVA/JOE LOVANO – Roma

Registrato il 10 novembre del 2018 all’Auditorium del Parco della Musica della città che gli dà il titolo, durante un breve tour che vedeva riuniti per la prima volta i cinque musicisti coinvolti (oltre ai due titolari Giovanni Guidi al piano, Dezron Douglas al contrabbasso e Gerald Cleaver alla batteria), il nuovo disco di Enrico Rava arriva giusto in tempo per celebrare i suoi ottant’anni. E lo fa nel migliore dei modi, con più di un’ora di musica stupefacente che iniziano con due brani di Rava, una nuova versione di “Interiors” (da “New York Days” inciso nel 2008 dal trombettista triestino di nascita) e una di “Secrets” dall’album omonimo del 1987 (già ripresa nel 2005 in “The Words And The Days”).

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THE COMET IS COMING - Trust in the Lifeforce of the Deep Mystery

Nel mondo del jazz e note affini, notoriamente, si vive con una sindrome da “personaggio”: come se le sorti delle note che hanno fatto da nervatura creativa per la musica del Novecento dipendessero sempre e solo dalle singole persone. Le svolte epocali, invece, non le fanno le singole persone: anche se chi chiamano Charles Parker, Louis Armstrong o Mingus. Gli azzardi avventurosi dei certi musicisti geniali avvengono sempre all’interno di una temperie culturale, di un flusso complessivo che è la storia nel suo complesso. Senza locali della 52° strada e clima dell’epoca niente be bop. E Nessun Bird & Dizzy. La premessa per dire che suonano abbastanza ridondanti e stucchevoli le continue ricerche di “nuovi geni”. La storia cambia nel suo complesso, e i geni sono pesci che nuotano nella corrente e controcorrente contemporaneamente, non atomi solipsistici. Il tutto per dire che quando si ascolta un disco come questo, nuovo progetto di The Comet Is Coming, la tentazione di dire che il jazz ha un nuovo genietto della lampada è forte. Nelle fattezze di Shabaka “King” Hutchings, uno che può suonare come Maceo Parker o come Albert Ayler, o come John Coltrane. E’ la nuova generazione di jazzisti inglesi con la pelle scura e le idee chiare: un palcoscenico di un club jazz per loro vale tanto quanto un club dove si suona indie rock. Amano l’elettronica e al contempo conoscono ogni anfratto della storia del jazz, specie quella più visionaria. Shabaka  ha molti progetti paralleli, ma questo della “cometa che si avvicina” è il più appetibile per un pubblico trasversale: sax ( spesso filtrato),la  batteria di Betamax, tastiere di tutti i tipi dal misterioso Danalogue Ogni tanto una voce e un violino che entrano sul tutto: con una battuta irresistibile che contagia al primo ascolto, e una miscela esplosiva tra il jazz astrale e psichedelico di Sun Ra, la trance music, il post e l’indie rock, l’elettronica da (s)ballo, Pharoah Sanders,  e via citando. Ascoltare per credere. (Guido Festinese)

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BILL FRISELL & THOMAS MORGAN - Epistrophy

Bill Frisell ha incontrato discograficamente il giovane contrabbassista Thomas Morgan in “When You Wish Upon a Star”, disco del 2016 in cui il chitarrista esplorava con un bel quintetto il mondo delle colonne sonore cinematografiche e televisive. L’anno successivo è stata la volta di “Small Town” in duo: composizioni originali alternate a cover, tra cui una versione di “Goldfinger” che si riallacciava idealmente all’esperienza precedente. Questo live registrato al Village Vanguard di New York nel marzo 2016 è inevitabilmente un compendio di queste due esperienze: dalla bondiana "You Only Live Twice" di John Barry (presente anche in "When You Wish Upon a Star") a "Wildwood Flower" (che arriva invece da "Small Town"), anche se qui, in medley con il vecchio successo dei Drifters "Save The Last Dance For Me", rappresenta l'episodio probabilmente meno riuscito del disco, fino all'omaggio a Paul Motian – con il quale entrambi hanno suonato – di "Mumbo Jumbo".

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ROBBEN FORD & BILL EVANS - The Sun Room
Sono sufficienti poche note di “Star time” per ritrovarsi a metà degli anni ‘80, quando gruppi come Steps Ahead (in cui ha militato il sassofonista Bill Evans) e Yellowjackets (di cui il chitarrista Robben Ford è stato tra i membri fondatori) pubblicavano dischi che sarebbero rimasti come i migliori esempi di quell’incrocio tra jazz e rock passato alla storia con il nome di fusion. Entrambi i musicisti poi, anche se in tempi non concomitanti, ebbero anche modo di suonare nei magmatici gruppi che Miles Davis allestiva in quel periodo e basterebbero queste credenziali a farci capire che ci troviamo di fronte a due vere star dei loro strumenti. Ma gli anni passano e riproporre pedissequamente quella musica oggi (anche se qualcuno lo fa) non avrebbe più senso: così, insieme a un solido bassista come James Genus (un lungo sodalizio con Uri Caine, attualmente membro della house-band del Saturday Night Live) e con il batterista Keith Carlock (Steely Dan e Toto le sue ultime collaborazioni) Ford e Evans aggiungono una buona spruzzata di blues (“Catch A Ride”), echi bluegrass (“Bottle Opener”), tentano la strada del mid-tempo vocale alla Boz Scaggs (“Gold On My Shoulder”) o della ballata strumentale (“Something In The Rose”). Meno prevedibile di quanto si possa immaginare “The Sun Room” scorre sui binari di un intrattenimento di altissimo livello, ideali per gli amanti del genere, meno per chi nella musica cerca qualcosa di ‘inaudito’. (Danilo Di Termini)
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STAN GETZ - Getz At The Gate

Parlare di un doppio cd registrato dalla Verve il 26 novembre 1961 al Village Gate di New York – per un album rimasto inedito fino a oggi – significa rituffarsi in un periodo davvero fulgido nella pur ricca storia del jazz. Tanto per dire quasi in quegli stessi giorni, a dieci minuti a piedi da lì, John Coltrane si esibiva al Village Vanguard con un gruppo che comprendeva McCoy Tyner, Eric Dolphy, Elvin Jones; quello stesso “Trane” che prima di trovare in Tyner il suo pianista ‘definitivo’ (o quasi) aveva provato per un breve periodo Steve Kuhn, il pianista che insieme al contrabbassista John Neves e al batterista Roy Haynes completa la formazione di questo quartetto. 

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