Musica italiana

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GIANMARIA TESTA - Prezioso .

Sono passati quasi tre anni dalla morte di Gianmaria Testa, il cantautore piemontese che ebbe successo prima all'estero (Francia, Germania) che in patria. Negli ultimi anni però, anche in Italia conseguì il meritato successo, con dischi come Altre Latitudini e, soprattutto, Da Questa Parte Del Mare, certamente il suo disco migliore. In questi tre anni, la moglie, Paola Farinetti, ha raccolto alcune registrazioni casalinghe unendole ad altro materiale, edito ed inedito, per costruire il disco che esce in questi giorni. Si chiama Prezioso, ed è un titolo che rivela l'eccezionalità del contenuto.

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GIANMARIA TESTA - Prezioso

L’Italia di oggi è, purtroppo, una repubblica fondata sul livore e sul rancore. Tutti leoni da tastiera , pronti a colare bave d’odio Web su chiunque non dia lo stesso valore nostro alle nostre stesse (apparenti) ragioni, tutti allineati e coperti, come da inquadramento militare, a prendersela con chi sta peggio di noi, perché qualcuno col sorrisino ironico fisso e  inalberato ci ha raccontato la favoletta che se stiamo peggio di prima è per colpa di chi sta peggio di noi. Queste bestialità assortite erano un bersaglio prediletto di una persona che, come De André, non aveva “lingua allenata al vaffanculo”. Non gridava, non era mai sopra le righe. Spiegava con pazienza, la voce arrochita dalle sigarette e un bicchiere di bianco accanto che bisognava ricordarsi di quando gli emigranti eravamo noi, che stiamo “da questa parte del mare”. Faber non c’è più, e non c’è più neppure Gianmaria Testa: se n’è andato in punta di piedi un paio d’anni fa. Bello, allora, che questo disco fortemente voluto da Paola Farinetti, la moglie di Gianmaria, accolga buona messe delle canzoni che il cantautore piemontese ci ha lasciato tra i suoi appunti di lavoro, e che si intitoli “Prezioso”: perché sono tutte gemme di valore questi brani che Testa limava e affinava. Oppure erano già pronte, per darle a altri, e qui le trovate invece come sono nate nel suo studio casalingo, chitarra e voce. C’è un capolavoro subito in  apertura, Povero tempo nostro: come se Gianmaria avesse avuto le antenne per vedere il nostro sguaiato e disperato presente italiano, ci sono i brani che poi ha portato in scena Paolo Rossi, c’e Merica Merica, con la voce di Battiston che legge le povere lettere degli emigranti italiani.

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TALES OF KALEDRINA – Odissey to No-One

Tornano a farsi sentire i liguri Tales of Kaledrina, giunti al quarto lavoro in studio. Il quartetto – che è composto da Fabrizio Vacca (voce e liriche), Matteo Ricci (chitarre, basso, synth e programmi), Giulio Gaietto (basso) e Valentina Romei (voce) – pubblica questa sua nuova opera soltanto in LP in cento copie, numerate. E già questa è una bella novità, che con il trascorrere del tempo renderà assai raro questo vinile, doppio, con dodici composizioni in tutto (dire canzoni appare riduttivo). La veste grafica è molto suggestiva, minimale ed elegante, nel medesimo tempo. La musica del progetto – di questo forse si tratta, piuttosto che di una band, canonicamente intesa – conferma tutta la bellezza a cui i musicisti in questione ci hanno abituati. Musicisti colti, preparati, attenti in fase sia di scrittura, sia di esecuzione. Grande è la cura verso i paesaggi sonori, verso le scelte timbriche e strumentali: quella dei Tales of Kaledrina è infatti una bellissima elettronica d'ascolto, che riporta l'audiofilo agli anni d'oro della Bristol che fu. Suoni inglesi quindi, tra Massive Attack e Portishead, tuttavia con un gusto ed un personalità creativi quanto originali. Promossi a pieni voti, ancora una volta. (Davide Arecco)

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RED WINE - Carolina Red / Vintage 1978

La bella copertina di Roberto Zizzo, tutta giocata sui toni ocra e rossastri delle foglie autunnali è già buon viatico per accostarsi a questo nuovo e atteso cd della Red Wine, che festeggia ben quattro decenni di musica, di concerti, di difficoltà, di risate, di piccole e grandi gioie e momenti in cui è stato necessario stringere i denti. Il sottotiolo di Carolina Red (il riferimento geografico è allo studio in legno nella foresta  dove il gruppo è andato a registrare, dai fratelli Krüger) è vintage 1978: l’auto – includersi in una categoria di modernariato musicale sta a significare che la soglia di autoironia è assai alta, dunque l’anagrafe non conta più di tanto. Contano i fatti, e qui ce n’è a volontà, per ascoltatori senza pregiudizi e che amino la musaica a prescindere dai generi.

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CRISTINA MESCHIA - Inverna

Mai cedere alla logica un po’ stantia del “tutto è già stato detto, tutto è già stato suonato”. E’ più un alibi per la pigrizia critica di chi invece ha il privilegio di poter ascoltare molte cose, e metterle a confronto. Ad esempio prendete questo secondo lavoro discografico di Cristina Meschia da Verbania, vocalist e flautista, Inverna. Il sottotiolo recita “canti popolari di protesa, guerra, lavoro e amore, e sembra di veder il sopracciglio che si inarca,  e l’inevitabile corollario “Ancora queste cose? “. Sì , ancora. Perché se oggi Elena Ledda o Ginevra di Marco continuano a saperci rivelare angoli segreti di canzoni che nascono nel cuore folk della gente, ognuna a modo suo, l’una dalla Sardegna, l’altra dal cuore del’Appennino centrale, perché non dare fiducia allora a una ragazza piemontese  cresciuta con l’Enzo Jannacci e il Nanni Svampa più “popolari”, il Cantacronache, i dischi della Albatros e del Sole. E che un giorno s’è trovata la sua strada: un folk jazz cameristico che restituisce la leggerezza del sogno ai brani, trasfigurandoli in una sorta di luce aggiunta che nobilita gli originali, e li spinge ancor più lontano. Lei dalla sua ha una voce luminosa e di una freschezza sorgiva, accanto ha chi ha curato gli arrangiamenti  preziosi, il jazzista Giampaolo Casatl, il pianoforte di Gianluca Tagliazucchi, il basso di Riccardo Fioravanti, il flauto di Marco Moro, il violoncello di Manuel  Zigante, il violino di Umberto Fantini, le percussioni di Gilson Silveira. E ospite speciale la chitarra di Alessio Menconi. (Guido Festinese)

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MARCO CAMBRI - Særa i euggi

Finalmente un nuovo disco per Marco Cambri, a ben quattordici anni dall’introvabile  “A Curpi de Pria” (a quando una ripubblicazione, maestro?) e a quattro dal semiclandestino “Vivo”,  venduto per lo più ai concerti. La dozzina di brani è ormai conosciuta dal pubblico, visto che nei suoi concerti  queste canzoni vengono proposte da un po’ di tempo. Ciò non toglie che sia bello avere in mano un disco così pregiato per veste grafica e contenuti artistici. Le canzoni in dialetto genovese di Cambri,  sempre incentrate su personaggi e storie dal sapore antico, descrivono luoghi, paesi e ambienti che ognuno di noi può aver conosciuto o almeno sentito raccontare. La sua scrittura, altamente poetica (e in più, nella nostra difficile ‘lingua’) tocca qui nuovi vertici, come in Ægua do Bronzin o in Passo, ma anche nuove leggerezze, come nella spumeggiante Che Rìe. 

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