Musica italiana
Un tesoro nascosto, un giacimento culturale che periodicamente affiora, fa parlare di sé, poi si rassegna a qualche altro decennio o centinaio d'anni di oblio. E' il repertorio delle “canzoni da battello” che si cantavano e suonavano a Venezia nel terzo decennio del Settecento. Furono poi soppiantate da altri generi alla moda, ad esempio le simili “barcarole”, ma oltre cinquecento brani sono rimasti in trascrizione sul pentagramma, e per fortuna ogni tanto qualcuno ci mette mano, voce e strumenti, a ricostruire un magnifico, giubilante canzoniere pop ante litteram che è come una ventata d'aria fresca. Negli anni Settanta fu Donella Del Monaco, indimenticabile voce del gruppo sperimentale progressive Opus Avantra a regalare un bel disco di “canzoni da battello”, sotto la guida accorta di Sciarrino. Poi arrivò un primo compact disc, ed ora è la volta dell'esperimento più luminoso di tutti: lo ha realizzato Rachele Colombo, che ha dalla sua una voce che sembra acqua sorgiva, e saggiamente ha scelto una via non sterilmente filologica. Ecco dunque piccoli interventi sulle sequenze accordali, qualche cambio di tonalità, chitarre e corde in genere e tamburelli, molte voci, nessuna “impostata”: a ricomporre un affresco che suona argenitno, fresco e memorabile già al primo ascolto. (Guido Festinese)
Non sono gli anni, sono i chilometri, dicevano i Blues Brothers. E chilometri ne hanno macinati molti, i Rusties, tra filacce di nebbia lombarda, notti di suono strappate agli altri modi per che si usano per gli sopravvivere se ti capita di nascere in Italia e non a Memphis, e poi magari il giorno dopo hai gli occhi pesti, ma che serata. I Rusties guidati Marco Grompi macinano vita e chilometri da vent'anni. In origine portavano in giro le canzoni del vecchio bisonte imbizzarrito Neil Young, con classe e rigore, ma non sterile filologia. Poi è arrivato anche uno spettacolo teatrale sulle canzoni degli anni più bui e assieme più luminosi del rocker canadese, poi la voglia di misurarsi con accordi e parole d'autore. E ora il doppio salto mortale, e senza rete: perché scrivere, cantare e suonare (bene) rock preciso e poderoso di pura marca Americana in italiano non è appannaggio di quasi nessuno, qui: senz'altro non dei soliti noti da stadi pieni e testa vuota. Meglio cercare nel giro di chi è indipendente davvero: vedi alla voce Bonfanti, vedi alla voce Rosa Tatuata, vedi alla voce “Ruggine”. I Rusties evitano le trappole delle parole tronche che mancano dando un colpo di cacciavite lì e un altro di plettro là alle frasi, fino a trovare la cadenza e la rima perfetta, ti sbattono addosso un suono che sembra un concentrato della E Stret Band, degli Heartbreakers, degli Allman Brothers più ruggenti e convinti. Garantendosi anche qualche deriva musicale più “eretica”, da jam band cosciente che sa tenere gli stumenti in mano. In cinque suonano come se avessero accordato cuore e cervello su medesimi battiti e pensieri. E i testi? Uno sguardo amaro, spietato, sprezzante su un presente povero e sazio di nulla, spogliato di spessore, con brutte ulcere sulla memoria. Personale e collettiva. Un bel paracadute contro la miseria frequente del “rock in italiano”. (Guido Festinese)
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