Duke Ellington rispondeva sempre, a domanda su quale fosse la sua musica favorita, che per lui esistevano due sole musiche possibili: quella buona, e quella cattiva. Dunque “buona musica” è concetto che prescinde radicalmente dal genere. E chi è innamorato della buona musica fa di tutto per tenersi lontano dalla “purezza dei generi musicali ”, che sembra un po’ il corrispettivo di altre ben più minacciose purezze “identitarie” e “tradizionali” attualmente brandite come clave nella Penisola. Beppe Gambetta è musicista che, sulla carta, dovrebbe essere confinato in una sorta di ghetto della purezza acustica: un flatpicker teoricamente non dovrebbe mostrare segni di debolezza verso l’opera, o la canzone d’autore, o il jazz. Che c’entrano con la chitarra nordamericana suonata a plettro? Per fortuna sappiamo che (da decenni!) Gambetta pratica una sana via inclusiva della bellezza: se gli piace una cosa, la suona. E bene. Qui troverete ad esempio una nuova versione della verdiana “Vergine degli angeli”, due titoli dal canzoniere di De André, un sentito tributo a Doc Watson (dal vivo al Teatro della Corte nella Acoustic Night 17), e diversi nuovi brani, eccellenti: la struggente Benedicta 1944, un ricordo per quei ragazzi che ci hanno regalato la vita e la libertà, Super Hit, autoironico auspicio per migliori sorti commerciali per la propria musica, Notes From The Road .
E farete anche l’esperienza di un Gambetta che canta…in tedesco: succede con Der Wind Trägt Uns Davon.Tutto americano il parterre degli accompagnatori, con gran bei nomi: ad esempio il notevole bassista Rusty Holloway, e Bob Harris, a lungo collaboratore del leggendario Vassar Clements. (Guido Festinese)