Trent’anni: quest’anno gli irlandesi Dervish festeggiano tre decenni di presenza sui palchi di tutto il mondo, con una produzione discografica che ben di rado ha mostrato segni di logoramento o scarsa ispirazione. Ecco allora che suona del tutto giustificato autocelebrare un po’ la band stessa, che continua a reggere con eleganza, come in parallelo vanno facendo ad esempio gli Altan, e un po’ il gran repertorio irlandese sedimentato nei secoli, alla base di pressoché tutto il folk revival dell'ultimo mezzo secolo, e oltre, se andiamo a riascoltare qualcosa della prima metà degli anni ’60, prima ancora che esistessero i Fairport Convention, per capirsi.
The Great Irish Songbook, come si conviene a tutte le feste grandi accoglie un gran parata di ospiti, ad affiancare la voce maestosa e cristallina di Kathy Jordan, che non ha perso uno spicciolo di flessuosa duttilità. C’è Steve Earle a introdurre una raschiante nota di disincanto in The Galway Shawl, c’è Andrea Corr in She Moved Through the Fair, ci sono gli SteelDrivers in Whisky in the Jar, stranamente pacata e ammaliante, c’e Brendan Gleeson in The Rocky Road to Dublin. Tutto il disco ha un passo sicuro e meditato: si fa quel che si deve, e con rispetto, sembrano suggerire i Dervish. A noi resta il conforto di un altro piccolo scrigno di bellezza che non andrà perduto. (Guido Festinese)