E' ben noto che i matrimoni misti, ancorché spesso problematici, sono quelli destinati a portare in dote all'umanità un bello sparigliamento di geni. Succede lo stesso anche in musica, e il trionfo, nel secolo scorso, di tutte le musiche afroamericane (dal ragtime al tango passando per il blues, il rock, il bluegrass, il son cubano, il jazz, e il resto si aggiunga a piacere) ha garantito alle musica tutta un bell'apporto di vitalità. Quando gli irlandesi furono costretti, da una sciagurata carestia a metà '800, peraltro abilmente e sadicamente sfruttata dai nobili inglesi, a far rotta in massa per l'America, ne è scaturita una serie di musiche di incroci possibili e impossibili che ancora oggi lascia un senso di stupore. E di gioia all'ascolto. Ci han provato i De Dannan e i Chieftains, ad esempio, a ripercorrere le piste, ora aggiungiamo, con medaglia d'onore, il signor Ben Glover. Che ha dalla sua una voce virile e ammaliante, un tocco sulla chitarra preciso, e il miracolo di una scrittura facile per cose difficili, perché le canzoni sono bellissime al primo ascolto. Con un piede nell'Isola di smeraldo, e quindi un mulinare discreto e palpitante di piccole cornamuse ed altri attrezzi della tradizione, ed uno negli States dove sbocciava la gran fioritura della country music. The Emigrant è un disco quasi commovente. Pressoché perfetto. Di una forza tranquilla che, di questi tempi, pochi hanno eguagliato. (Guido Festinese)