Dicono che il precedente Echo Street sia stato costruito da Sel Balamir della band con scarti, b-sides, provini di canzoni comunque non giunti a buon fine. Sarà anche vero, ma è altrettanto vero che Echo Street suonava come il disco più vario ed aperto della formazione di Manchester, spesso inchiodata in una strana terra di nessuno tra hard rock progressivo da un lato, e new prog e psichedelia dall'altro, con il risultato di costruire opere ambiziose ed esageratamente enfie (The Octopus, ad esempio). Qui cambia il passo, e la scelta per la formazione mancuniana con le chitarre affilate è decisamente orientata a trasformare il filo in un rasoio temibile. Dall'inizio alla fine, in un disco decisamente contenuto nel minutaggio sulla misura di un vecchio ellepì è un assedio di watt e di muri di chitarre, ben costruito, ben suonato, ma inevitabilmente anche ripetitivo, a tratti, o auto-citazionista. Con un suono assestato da qualche parte tra i Motorpsicho più duri, i Rush, e certe aperture zeppeliniane. Nulla di male, ma è tempo di prendere qualche altra strada con più convinzione. (Guido Festinese)