In questo disco il manifestarsi della voce di Cohen nella prima traccia, sopra un lugubre coro maschile, è un colpo al cuore (e anche ai woofer). Il tono della voce sembra provenire dall’aldilà, un luogo che il Cohen ottantaduenne non sembra temere, ma che esorcizza con brani che sottolineano l’inevitabilità della morte e tracciano bilanci, tra religione e passioni ormai lontane; il disco ha rischiato di non essere realizzato, proprio per la salute imperfetta del cantautore e poeta canadese e quella di Patrick Leonard, suo importante collaboratore negli ultimi dischi. Per fortuna nostra, l’aiuto del figlio Adam e di qualche presidio sanitario, come ci racconta lo stesso artista nelle note, ha permesso l’uscita di You Want It Darker. Il debole ritmo, e il consueto fraseggio vocale dell’ultimo periodo, rimangono la cifra stilistica anche qui, così come l’accompagnamento vocale, diviso tra le consuete coriste e il coro di una sinagoga canadese di soli uomini.
E’ facile considerare il disco un testamento, o gridare al capolavoro, come si fa ormai senza ragionare quando artisti di questo calibro pubblicano una novità, ma l’importante è ascoltare ancora una volta, godendo parola per parola, il percorso di un poeta che continua ad affascinarci e a stupirci dai tempi lontani di Songs of Leonard Cohen fino ad ora. (Fausto Meirana)