In un film di Harold Ramis di qualche anno fa, “Mi sdoppio in quattro”, il protagonista Michael Keaton riusciva a clonarsi per lasciare alle sue copie le assillanti incombenze lavorative e tornare a godersi la vita. Dopo questo 2018 sorge il dubbio che anche Paolo Fresu abbia trovato la formula così da riuscire a pubblicare due album - uno dei quali a ‘corredo’ di uno spettacolo teatrale dedicato a Chet Baker con il quale sta girando l’Italia - organizzare come ogni anno il festival itinerante di Berchidda e registrare il terzo capitolo di “Mare nostrum” (il primo data 2007).
Di sicuro la scienza ha fatto progressi perché se nel film gli alias tendevano col tempo a peggiorare, quelle di Fresu mantengono inalterate le qualità originali: lo straordinario lirismo della sua tromba in questo caso poi, trova due degni alleati nell’accordeonista e bandoneonista provenzale Richard Galliano e nel pianista svedese Jan Lundgren, co-protagonisti a tutti gli effetti del progetto, bravissimi nello svolgere il filo di “The Windmills of Tour Mind” (dal Caso Thomas Crowne, scritta da Michel Legrand recentemente scomparso), nel privare di ogni retorica un brano come “I'te vurria vasá” o nell’affrontare con brio l’andante “Love Land”. Ma se dobbiamo scegliere due brani che meglio di ogni altri rappresentano questo album, forzando forse la mano agli autori, segnaliamo “Human requiem” e “Prayer”, dolenti promemoria sonori della tragedia che quotidianamente si recita nelle acque del nostro travagliato mar iMediterraneo. (Danilo Di Termini)