Nato come un figlioccio di Four Tet, su Leaf sotto il monicker di Manitoba, il trentenne Dan Snaith, perso il nome per beghe legali con l'immarcescibile Handsome Dick Manitoba dei Dictators, è riemerso ormai ai fasti mondiali con il nome di Caribou. Il piano del canadese per conquistare il mondo si basa su melodie elettroniche adagiate su ritmi IDM mutuati dal sound sudamericano più tradizionale o da qualche ricordo black, trasfigurando il tutto in cavalcate kraut quasi psichedeliche per il numero di livelli di suoni stratificati uno sull'altro.
Il trucco è chiaro in questo nuovo disco: le ritmiche sono piuttosto scoperte e facili, solo in Bowls cita ancora i break dell'ex luce guida Four Tet, presente anche lui a sostenere le tesi dell'autore, e i cantati, molto più presenti rispetto alle sue produzioni precedenti, sono piuttosto ammiccanti anche grazie agli interventi degli ospiti, tra cui spicca il cantante dei Born Ruffians. I layer di suoni sono contrappuntati da campioni o insoliti giri di tastiere vintage solo in rari casi, preferendo una narrazione continua senza bruschi stacchi a rischio distrazione.
Tra un lancinante e sofferto assolo di sax (di Marshall Allen della Sun Ra Arkestra), su Kaili, un coro multistrato e un'insistita ripetizione vocale che strizza l'occhio a certo minimalismo, il disco si accomoda su posizioni molto poco intransigenti formulando una proposta che unisce i puntini che vanno dal pop elettronico di Erlend Øye, coi Röyksopp o con The Whitest Boy Alive, con il sound figlio di krautrock ed elettronica dei giovani coorti della chillwave o del glo-fi.
Non un disco di genere, sia ben chiaro, ma un ottimo compendio, base comoda per partire in un'esplorazione sonora dei confini attuali della musica dance meno commerciale in cui potreste imbattervi: sempre, lo sottolineiamo in conclusione, solo nel caso foste davvero interessati a scoprire tali territori. (Matteo Casari)