Oramai tutti sappiamo che la scelta di pubblicare il suo primo singolo da dieci anni a questa parte è stata la miglior mossa di marketing che Bowie potesse attuare in questi tempi di grandi attese ed ancor più grandi decisioni. C'è poi chi, come me, all'ascolto del suddetto, prevedeva un album con caratteristiche di senilità, quindi atmosfere pacate, languidi suoni, insomma un lavoro che si adattasse all'età non più verde dell'ex Duca Bianco. E invece no, Bowie trova ancora la forza di spiazzare persino i suoi aficionados più incalliti con un album dalle molteplici direzioni, dove l'artista cannibalizza se stesso e restituisce tutte le suggestioni che hanno contraddistinto la sua carriera musicale. Questo elemento potrà essere preso come una mancanza di direzione precisa, almeno ai primi ascolti, ma attenzione perché ogni brano può invece essere interpretato come la sintesi dei molti generi che DB ha attraversato nel suo lunghissimo excursus : si parte infatti con il brano che da il titolo all'album e non può non venire in mente Repetition (da Lodger) , si prosegue con Dirty Boys ed è ancora Berlino dietro l'angolo, forse è quello che sono diventati i Sons of the silent age. The Stars (Are Out Tonight) riprende un po' le fila sfilacciate di Reality ma resta un buon singolo per quest'epoca.
Love is Lost è programmatica sin dal titolo, i suoni contemplano il dramma della perdita, molto anni'70. Di Where are we Now tanto si è già detto, personalmente son felice che non tutto l'album sia così. Valentine's Day è la gioventù perduta di Bowie, siamo dalle parti doo wop , mentre If You Can See Me rimanda alle sperimentazioni convulse di Earthling. I'd Rather Be High è ancora un Bowie prima maniera, Boss Of me riprende in maniera calda il periodo plastic soul. Si omaggia l' Iggy di Lust for Life con Dancing Out in Space e ci si rifà addirittura al periodo pre Hunky Dory con How Does The Grass Grow. (You will set) The World On fire è molto, forse troppo, americana ma ci si salva con You feel so lonely you could die, quasi un omaggio alle ballate con Mick Ronson e con quel finale di batteria che rimanda direttamente a Five Years. Il disco ufficiale si conclude con Heat, sembra quasi di essere dalle parti di Scott Walker (non l'ultimo...) ma le bonus track comunque hanno un loro perché: So she è una svenevolezza con i fiocchi, Plan è lo strumentale che apre il video di The Stars e I'll Take you there un sostenuto appunto newyorkese.
E soprattutto è tornato il camaleontismo, solo che questa volta parliamo di voce... (Marcello Valeri)