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ROCK EN SEINE - Paris, 28-29 agosto 2008
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Concerti Concerti ROCK EN SEINE - Paris, 28-29 agosto 2008
 

ROCK EN SEINE - Paris, 28-29 agosto 2008 Hot

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Serj Tankian
28 agosto: Infadels; Apocalyptica, The Latitudz, These New Puritans; Hot Chip; Da Brasilians; The DØ; Serj Tankian; Narrow Terence; Dirty Pretty Things; Kaiser Chiefs; Plain White T’s; Tricky; REM; Wax Taylor.
29 agosto: DB Taylor; Louis XIV; Molecule; Jamie Lidell; Scars On Broadway; Fortune; The Jon Spencer Blues Explosion; The Roots; Brooklyn; Kate Nash; The Raconteurs; Black Kids; Justice; Amy Winehouse (annullato); The Streets.


Rock en Seine giunge quest’anno alla sesta edizione; si tratta quindi di un festival giovane, nato nel 2003 con una formula molto semplice: un palco e una giornata di musica alla fine di agosto. Nel tempo è cresciuto, grazie all’acquisizione di sponsor e al sostegno dell’autorità pubblica, espandendosi verso la formula attuale di due giorni, con tre palchi (la Scène de l’Industrie, la Scène de la Cascade, la Grande Scène: l’unica con due schermi laterali) e una trentina di gruppi. Piacevole e fortunata la scelta del luogo, lo storico Domaine de Saint-Cloud, un parco alle porte di Parigi, che ha visto negli anni alternarsi giovani band francesi, gruppi agli inizi di carriere fortunate (come gli Arcade Fire), e headliners di prestigio: dai Muse, ai Radiohead, ai White Stripes, ai riuniti Pixies. Quest’anno il programma è ampio e rappresentativo di differenti stili e tendenze.

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These New Puritans
Arrivo poco dopo l’apertura dei concerti, prevista alle 15, e passo dinanzi alla Scène de l’Industrie, dove si stanno esibendo i francesi Latitudz, che suonano un misto di hip-hop, funk e rock che non mi pare troppo entusiasmante, e alla Grande Scène, dove sono all’opera i finlandesi Apocalyptica, noti soprattutto per le cover dei Metallica eseguite al violoncello; opto senza indecisioni per la Scène de la Cascade dove alle 16,20 sono attesi da un pubblico non ancora troppo numeroso i These New Puritans, autori nel 2008 di un disco d’esordio interessante, che parte da echi di Joy Division e Gang Of Four per elaborare un suono originale, molto ritmico e soprattutto lontano da altri epigoni del revival new wave di questi ultimi anni. Il quartetto produce un set breve ma intenso, giocato soprattutto sulla ritmica, con aperture di funk bianco e un suono molto geometrico: spiccano l’esecuzione del singolo Elvis e di un altro fra i migliori brani del disco, Numbers.
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The DØ
Sullo stesso palco è atteso il duo franco-finlandese The DØ, che con l’esordio The Mouthful ha raggiunto il disco d’oro in poche settimane, anche sulla scorta del singolo di gran presa On My Shoulders, trasmesso in heavy rotation dalle radio francesi. The DØ suonano un pop che si tinge di elettronica e di hip-hop; sulla scena sono aiutati da un batterista (che suona lo strumento più originale dell’intero festival: una batteria sovrastata da una campana formata da un tubo a cerchi concentrici, cui sono appesi piatti di ogni genere). Da come tengono la scena si vede che tanto il polistrumentista Dan Levy quanto la cantante-chitarrista Olivia B. Merilahti, nonostante la band sia nuova, sono dei professionisti; il pubblico è numeroso e sembra apprezzare, ma l’unica vera pecca del disco, alcune lungaggini inutili, si acuisce dal vivo: brani che potrebbero concludersi gradevolmente in quattro minuti, sono invece protratti con code strumentali del tutto inutili. Lascio quindi senza troppi rimpianti il concerto un po’ prima della conclusione, per avvicinarmi alla Grande Scène, dove alle 18.20 avrà luogo il concerto di Serj Tankian, vocalist dei System Of A Down, molto rimpianti non solo da me, ma anche dal folto pubblico (si vede dalle magliette) che lo attende; lo stesso che il giorno successivo attenderà con altrettanto entusiasmo l’altra metà dei SOAD, ossia gli Scars On Broadway (sui quali tornerò).
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Dirty Pretty Things
All’inizio del 2008 Serj Tankian ha fatto il suo esordio da solista con lo splendido “Elect The Dead”, dal quale sono tratti tutti i pezzi eseguiti dal vivo. Il concerto soffre forse di un leggero difetto tecnico, ossia un mixaggio leggermente basso, che comprime un po’ il suono, sul disco davvero esplosivo. Ma Serj ha nella voce uno strumento incredibile, e diverte molto anche l’attitudine sulla scena: a un certo punto domanda al pubblico se apprezza gli Abba, e si lancia in una versione di Money con interpolazioni della Money Money Money della band svedese. La band è compatta, e come prevedibile senza concessioni ai clichés del metal (nella tradizione dei SOAD). Serj a volte si concede alla chitarra e alle tastiere, più spesso alla sola voce. Il concerto è insomma una piena conferma del valore artistico di Tankian e della sua nuova carriera da solista. Mi sposto rapidamente sulla Scène de la Cascade, dove nel frattempo è cominciato il concerto dei Dirty Pretty Things: una performance solida, che presenta in larga parte i brani del nuovo e carino Romance At Short Notice, che rappresenta una passo avanti rispetto all’esordio, anche se il pubblico accoglie con grande entusiasmo soprattutto il primo singolo della band, Bang Bang You’re Dead. Dall’attitudine, alla musica, alla voce di Carl Barat, il debito verso i Clash è, se possibile, ancora più evidente dal vivo che in studio. Quando i Dirty Pretty Things hanno terminato, sulla Grande Scène sono già all’opera i Kaiser Chiefs. Per loro vale il discorso inverso: bell’esordio e secondo disco da dimenticare, se non per il singolo Ruby, che anche dal vivo fa bella figura. I Kaiser hanno un suono da stadio, non per forza in senso negativo, ma spesso mancano loro le canzoni; non casualmente, i momenti più godibili sono dati dai brani migliori dell’esordio, in particolare The Modern Way e I Predict A Riot.
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R.E.M.
Rinuncio a spostarmi per il concerto di Tricky in modo da cercare un posto migliore dal quale seguire i REM; la folla sarà in effetti enorme: molti quelli che sono al festival per ascoltare solo il loro concerto. Cominciano puntuali alle 22: il suono è perfetto, la scena molto bella, con schermi rettangolari alle spalle della band sui quali vengono proiettati video alternati a ingrandimenti di scene del concerto - a volte in b/n, a volte con colori psichedelici. La scaletta è adatta a un festival: molti pezzi noti (Imitation Of Life, Orange Crush, Man On The Moon, Losing My Religion), qualche favorito della band (Electrolite), una scelta limitata dall’ottimo Accelerate (mancano purtroppo pezzi chiave come la titletrack o Houston). Michael Stipe è un frontman eccezionale, e anche se lui e Peter Buck sembrano non scambiarsi neppure uno sguardo, la band è sempre in grado di comunicare grandi emozioni; dopo un’ora escono di scena, ma l’insistenza del pubblico li richiama per un lungo bis.
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Scars On Broadway
Poco interessata ai concerti di Jamie Lidell o dei Louis XIV, il secondo giorno scelgo di arrivare al festival con calma, per guadagnare un buon posto al concerto degli Scars On Broadway. Uscito da poco, il loro esordio omonimo è un disco che al primo ascolto lascia freddini: il suono è quello dei SOAD, ma si avvertono la mancanza della voce di Tankian e della produzione di Rick Rubin. Il chitarrista e principale compositore nei SOAD, Daron Malakian, ha scelto di far tutto da solo, aiutato dal batterista John Dolmayan; il che non aiuta a dinamizzare il suono, mentre non mancano canzoni valide. Su scena, ovviamente, il duo è accompagnato da una banda completa di tastiere, seconda chitarra e basso; ingrassato e con un abbigliamento che ricorda in modo preoccupante gli ZZ Top, Malakian si rivela invece la grande sorpresa del festival. Gli Scars interpretano in meno di un’ora l’intero disco, con una compattezza e una furia che portano il pubblico delle prime file a scatenarsi in un gigantesco mosh. Malakian lascia i brani migliori, Funny e il singolo They Say, alla fine, interpretandoli come un invasato. Un concerto entusiasmante, dopo il quale si torna anche al disco con una visione differente. Poche parole per i due concerti che seguono: ho sempre pensato che ai Jon Spencer Blues Explosion non mancano né suono né attitudine, ma le loro canzoni sono veramente prive di interesse; l’esibizione dal vivo conferma, a volte sembra di sentire l’energia degli Stooges, ma è difficile distinguere un brano dall’altro, e il risultato alla fine è noioso. Per certi versi un discorso simile si può fare per The Roots, alla seconda apparizione al Rock en Seine. A parte i singoli, latitano brani davvero validi. Sul palco però non mancano momenti divertenti; il concerto è costruito come una sorta di medley, che si accende quando la band interpreta una lunga You Got Me, nella quale compaiono accenni di Sweet Child O’ Mine e Immigrant Song.
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Raconteurs
Poco dopo le 20 sulla Grande Scène salgono i Raconteurs, pure al secondo concerto al Rock en Seine. Inutile sottolineare la solidità strumentale della band; Jack White (pallido e con qualche chilo di troppo) lascia spesso voce e scena a Brendan Benson, ma è ovviamente la star. Molti i brani dal secondo disco, dal suono potente ma anche meno strutturato rispetto al primo. Il pubblico applaude soprattutto una bella e lunga versione di Steady, As She Goes, con un intermezzo nel quale White utilizza un vocoder; ma spiccano anche i due brani migliori di Consolers Of The Lonely, ossia Many Shades Of Black e soprattutto Carolina Drama, che conclude il disco e il concerto. Pochi minuti dopo, dal palco viene annunciata la cancellazione del concerto di Amy Winehouse; è un grosso scacco per gli organizzatori, e il secondo annullamento da parte dell’artista inglese dopo quello dello scorso anno; ma questo appare ben più grave, perché sulla scorta delle 800mila copie di Back To Black, Amy è stata promossa a headliner. Il giorno successivo sarà annunciata una causa legale, ma poco importa: per tanti è una forte delusione, e un modo un po’ triste per concludere un festival altrimenti ben riuscito. (Marina Montesano)

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