Fu Simon Reynolds, qualche anno fa, a coniare per un suo libro l’efficace ma poco ricordata espressione “retromania”. Stava a significare che, nell’ultimo quarantennio o giù di lì ben poco di sostanzialmente innovativo è accaduto nel mondo della popular music, che continua a rimestare in una “classicità” rock che comprende ormai anche tutta la più o meno rumorosa scia del post punk. Se però dovessimo indicare una scena che è particolarmente “retromaniaca”, nel senso che cammina in avanti ma tenendo lo sguardo all’indietro, come l’angelo della storia di Benjamin, sarebbe quella dell’indie folk. Gli scaffali si affollano di uscite belle, o quantomeno carine, ben confezionate, ben suonate, ma che potrebbero essere uscite tranquillamente mezzo secolo fa. Come questo bel disco di Shannon Lay, il terzo, ma primo per la Sub Pop. Vi dicessero che è una piccola gemma perduta di San Francisco o di New York del ’69, scena folk rock, evidenti agganci ai Byrds, a Joni Mitchell, a Judy Collins, e via citando, ci sarebbe da crederci. Invece queste dodici aggraziate pennellate acustiche con finger picking da manuale, voce tersa, folate di sax, sprazzi di violino sono incisioni di ora. E tutto torna (indietro). (Guido Festinese)