n.d.r. Prologo della recensione. Questo scritto ci è stato mandato da Marcello, e pubblicato, il giorno dell'uscita del disco. Dopo la morte di Bowie, per rispetto verso l'artista, lo stesso autore ci ha chiesto di toglierlo. Ora mi sembra giusto ripubblicarlo, in quanto questo era il pensiero del recensore prima della sua morte e non è certo cambiato dopo il tragico evento. Tra l'altro Valeri è sempre stato un grande fan di Bowie e mi aveva prenotato il disco ben prima dell'uscita. Non mi sembrano quindi giuste, non le critiche, ma gli insulti toccatigli su facebook alla lettura della sua recensione. Ognuno ha il suo pensiero, quello di Marcello Valeri era, e rimane, questo.
Bisogna scegliere, è necessario. Essere oggettivi o soggettivi, significanti o significati. Con questa premessa mi accingo a disquisire sul nuovo lavoro di David Bowie, l’atteso Blackstar, di cui tanto già si è detto e tanto si dirà. Ed ora dirò io. Se la title track con i suoi nove minuti e rotti ha, in qualche modo, una sua ragione d’essere in quanto summa astuta di una carriera mai doma, per il resto rimangono due ripescaggi, recenti tra l’altro, delle già non superlative Sue (or in a season of crime) e Tis’ a pity, she’s a Whore (uscite entrambe in 10” per un Record Store Day), una canzone del lavoro teatrale omonimo, Lazarus, intro alla Cure e rimandi alle pellicce psichedeliche, dove si immagina una prosecuzione della vicenda de L’Uomo che cadde sulla Terra, e tre possibili B-sides che chiudono un lavoro, per fortuna di non eccelsa durata. A Bowie si perdona la senilità attiva, il mito dell’eterno ritorno (e Lazarus, in tutte le sue accezioni, è quasi un nome de plume) e la mirabolante fragilità ma non si possono più trasgredire le necessità che il suo status, in termini di aspettative, pone in essere. Semplificando: travestire idee di canzone, quando va bene, se non abbozzi di melodia, in veste di supposto avant jazz, che già è retrò, non significa consegnare un lavoro tramandabile ma costituisce lo scaltro aggiungere solo una nota, polisemica, a piè di pagina, di una lusinghiera ma trascinata biografia.
Se ne leggeranno meraviglie ma io scelgo la strada oggettiva. (Marcello Valeri)