il ricordo di anni difficili ha sempre fatto da sfondo alle canzoni di Mary Gauthier. Il sesto album, The Foundling, approfondisce il connotato autobiografico ampliandone al tempo stesso il respiro sociale. Il centro emotivo del disco è March 11, 1962. Il titolo corrisponde alla data di nascita della cantante che, abbandonata dalla madre, trascorse un anno in orfanatrofio prima di venire adottata e vivere un’infanzia e un’adolescenza a dir poco ribelli.. La canzone riporta il dialogo fra Mary e la madre (ritrovata dopo quarant’anni) e il sottrarsi di quest’ultima alla possibilità di un incontro.
Prima e dopo un così spiacevole vita vissuta, reso ancor più drammatico dall’essenzialità della descrizione, il tema dell’abbandono viene affrontato sotto più punti di vista: il disadattamento che ne consegue (Sideshow), l’imprescindibilità del legame di sangue (Blood Is Blood), la difficile convivenza con un perenne senso di perdita (Walk In The Water), la speranza che resiste agli schiaffi del destino (The Orphan King). La lacerazione presente nelle parole è quasi inevitabilmente associata a musiche dolenti e sommesse nel tono ed essenziali nelle tinte acustiche (produce Michael Timmins dei Cowboy Junkies), mentre solo un paio di momenti (Sideshow e Another Day Borrowed) ritrovano l’aspra vitalità che aveva caratterizzato album come Drag Queens In Limousines e Filth & Fire. Il disco può dunque risultare faticoso da assimilare, specie per gli ascoltatori non anglofoni, oppure esageratamente “specifico”. Se si prova a pensarlo come un film-verità in forma di ciclo di canzoni lo si troverà di sicuro importante (parola che non si usava per un disco dall’ultimo Radiohead, forse) e poi anche affascinante. (Antonio Vivaldi)