La santificazione immediata post mortem è fenomeno diffuso e irritante, nel mondo del rock: vedi alla voce Brian Jones, Kurt Cobain, Jim Morrison, Jimi Hendrix, e via citando. Jeff Buckley incluso. Ma cotanto innervosiente accadimento è pareggiato anche dallo snobismo indifferente ad ogni uscita postuma, a prescindere, come avrebbe detto Totò. Jeff Buckley, o meglio, la sua figura splendida ed evanescente sparita poi per sempre ha patito entrambe le sorti. Il consiglio secco è di evitare polemiche, e di procurarsi subito il disco: che per fortuna non è afflitto da sovraincisioni inopportune, come capitò ad altra raccolta, non è l'ennesimo “live” spacciato per quello definitivo del ragazzo che fece in tempo a completare un solo disco capolavoro, ed è, semplicemente, una raccolta di canzoni, soprattutto “cover”, che nel '93 in studio Jeff provò e incise più che altro per sondare se stesso e il suo repertorio, consapevole che lo attendevano serate intense, a volte estenuanti nel circuito dei locali. E serviva (bel) materiale. C'è una primordiale Grace, e l'idea, letteralmente “narrata”, di Dream Of You And I. Ma troverete anche nuove versioni di Calling You, una Just Like A Woman dylaniana da pelle d'oca, un paio di schegge dolenti degli Smiths, una dai Led Zeppelin, perfino un inedito sondaggio a casa Sly & The Family Stone. Gioiellini tirati fuori da un mucchio di polvere.Tirati a lucido, e che brilleranno, ora, per sempre. (Guido Festinese)