15 Marzo 2016
|Questo lo avevo scritto il 19 settembre 2011, ma non lo avevo mai pubblicato. Poi è diventato il prologo del Diario, adesso lo pubblico nella sua versione originale con tanto di foto.
LA VERA STORIA DEI DISCHI VOLANTI
Lunedì 23 giugno 1947, notte. Un aereo C-46 della Marina precipita sui monti Rainier, nello stato di Washington. 24 giugno, mattina. I centri militari costieri di Washington iniziano a lanciare appelli via radio a tutti gli aerei in volo, offrendo una taglia per chi saprà ritrovare il velivolo perduto. 24 giugno, ore 15. Kenneth Arnold, un uomo d'affari di Boise, Ohio, è partito da poco dall'aeroporto di Chealis, diretto a Seattle per affari. Non appena il nostro sentì ripetere l'appello via radio, prese a dirigersi verso il presunto luogo della sciagura, passando a circa 30 chilometri dalla Catena delle Cascate, verso Yakima, a quota 3000 metri. Il nostro stava puntando verso il cratere spento del monte Rainier quando, improvvisamente, la sua attenzione fu attirata da un bagliore. Il nostro si voltò e scorse nove oggetti d'argento, a forma di piatto e grandi quanto un aereo C-54. I dischi sembravano volare in formazione a cuneo. Uno di questi aveva due grossi alettoni a coda di rondine ed un gigantesco oblò centrale. Quando i dischi si allontanarono sull'orizzonte, Arold ne calcolò la velocità: 1900 km orari! Una velocità che nessun aereo, all'epoca, era in grado di sopportare! Quando Arnold cercò di inseguirli,a modo suo, i dischi s'incolonnarono verticalmente e scomparvero velocissimi verso la frontiera canadese. Quando Arnold raccontò la propria avventura alla stampa, un cronista fantasioso coniò il termine 'flying saucers'. Era nata l'epoca dei dischi volanti.
Questa è la leggenda. La realtà è ben diversa. Quella notte la cicogna che mi stava trasportando in cerca di una casa che ospitasse il mio primo vagito, essendo appassionata di musica, voleva dirigersi verso Pasadena, dove, al Civic Auditorium, doveva svolgersi il concerto della Just Jazz All Stars di Stan Getz (1); all'improvviso, mentre attraversavamo lo stato di Washington, un pazzo su un aereo C-54 ci si avventa contro, forse, visto il colore del mio fardello (rosso), pensando che volessimo attentare alle Torri Gemelle: l'ignorante non sapeva che le torri sarebbero state costruite ventitre anni dopo e quindi non potevamo abbatterle. La cicogna, spaventatissima, sterza bruscamente; il rambo rimba non ce la fa, va dritto e s'infila per direttissima dentro il cratere del monte Rainier.
Ci fermiamo un attimo a terra per far riprendere il normale battito del cuore della mia conduttrice, ci rialziamo e immediatamente un altro pazzo, visionario o ubriaco, ci piomba addosso. Che non fosse molto sobrio è dimostrato dal fatto che dirà di averci visto il giorno dopo (invece era ancora il ventitre giugno), che eravamo in nove (invece eravamo solo in due e uniti), confuse la coda della cicogna con "un oggetto con due grossi alettoni a coda di rondine" e per finire non si rese conto che il gigantesco oblò centrale non era altro che la mia testa, già allora sufficientemente grossa da farmi soprannominare da zia Rosa, all'atto della mia nascita, "Nino Bixio" (evidentemente famoso per il diametro della capoccia).
Resta il fatto che, per fortuna, la cicogna si rese conto che l'America non era il posto più adatto per far nascere un bambino. Si lanciò (probabilmente in questo caso aveva detto giusto Arnold, parlando di una velocità di 1900 km orari!) verso l'Oceano Atlantico, che attraversò rapidamente. A questo punto decise di lasciare a me la scelta di dove lasciarmi. Dall'alto vidi il Portogallo, bello, ma c'era anche il dittatore Salazar; in Spagna poi eccone un altro: Franco. Passiamo in Francia e vediamo De Gaulle che fonda il Rassemblement du peuple francais, un inizio quantomeno di regime e allora decidiamo di proseguire. L'Italia finalmente. Il Belzebù romanista era molto giovane e baciava solo l'anello del Papa; il canterino d'Arcore studiava ancora, grazie alla scuola Elettra, come costruire la sua prima televisione e non s'inchinava ancora (a dire il vero nemmeno troppo) per baciare i piedi a Bettino. Insomma sembrava un Bel Paese.
All'improvviso appare davanti a noi una vera visione.
Tre casettine
Dai tetti aguzzi,
un verde praticello,
un esiguo ruscello: Rio Bo,
un vigile cipresso.
Microscopico paese, è vero,
paese da nulla, ma però...
c'è sempre disopra una stella,
una grande magnifica stella,
che a un dipresso...
occhieggia con la punta del cipresso
di Rio Bo.
Una stella innamorata?
Chi sa
Se nemmeno ce l'ha
Una grande città.
Non so dove avevo sentito questa canzone (o forse non era una canzone), ma adesso avevo davanti l'esemplificazione di quanto intendeva l'autore (2): Cesino, un minuscolo paese sulle colline alle spalle di una grande città, Genova..
Sembra il posto perfetto per un bambino. Sgancio il mio fardello rosso e atterro nella casa che mi aspettava da nove mesi ponendo fine alla mia odissea.
Che cosa mi è rimasto di quel burrascoso giorno? La mia cicogna mi ha passato la passione per la musica (anche se il ricordo delle note di Stan Getz nel momento dell'attacco dell'aviatore pazzo, non mi ha reso troppo simpatico il jazz), un odio completo per gli aerei (non ne ho mai preso uno), per le altezze (non quelle reali, anzi anche per quelle, ma ora intendevo il distacco dal suolo: soffro di vertigini), per le divise (sono riuscito ad evitare il servizio di leva: prima visita rivedibile, seconda, in pratica non ho più mangiato per qualche mese, 183 cm x 56 kg: riformato!), con tutto quello che ne consegue: armi, guerre e "stelle e strisce".
Un'altra cosa il destino mi ha attaccato addosso da quel giorno, anzi un nome: il disco. Ovviamente non quello volante, la cui leggenda è nata con me (anzi con la mia "zucca", scambiata per un ufo da Mr. Arnold), ma quello che troneggia sopra la vetrina di Disco Club e, come un'aureola, sopra la mia testa da più di trent'anni.
(1) Di quella memorabile serata, alla quale hanno partecipato anche Nat King Cole e Red Norvo, rimane l'incisione in un disco di Stan Getz, Groovin' high (Crown CLP 5002).
(2) Aldo Palazzeschi (Firenze 1885/Roma 1974).
CESINO 23 giugno 1947/ 9 gennaio 1957
Cesino, dunque. Un nome che ai più non dirà niente. Per me invece un vero paradiso terrestre. Nella foto: io, trogolo,barchetta e casa
Mi bastava uscire da casa, ed ecco di fronte il trogolo, dove, quando le donne non facevano il bucato, noi bambini giocavamo con le nostre barchette; a destra un bel prato, recintato da siepi, dove, quando le donne non stendevano il bucato, noi bambini giocavamo a calcio. A sinistra, poco distante, la piazza del paese, riservata questa ai ragazzi più grandi, che davano vita ad accanitissime partite; noi piccoli li guardavamo dalle panchine facendo i raccattapalle: ci sembravano dei veri fenomeni. Un'estate questi fenomeni si sono iscritti ad un torneo a Pontedecimo.
La sera dell'esordio tutta Cesino parte per raggiungere a piedi (in paese solo il dottore aveva l'auto) il campo, per assistere al trionfo dei nostri eroi. Risultato finale: 7 – 1, però per i nostri avversari. Ritorno faticosissimo per la mattonata che ci riporta a casa: da quel giorno, quando i grandi giocavano in piazza, ce ne andavamo nel nostro prato.
Ovviamente non giocavamo solo col pallone; i giochi erano i soliti di quegli anni: le grette con le figure dei ciclisti, gli sportivi più conosciuti all'epoca, i soldatini di terracotta, più reali di quelli successivi di plastica in quanto rimanevano spesso senza qualche arto come dei veri soldati, le automobiline di bachelite (un giorno me ne era finita nel fango una, l'ho lavata e messa ad asciugare sulla stufa: dramma, col calore si è completamente deformata e nemmeno le lacrime con le quali l'ho inondata, ha potuto raddrizzarla). Nelle calde sere estive, mentre i nostri genitori chiacchieravano in piazza, giocavamo a nascondino e intanto rubavamo dagli alberi o dalle cassette caricate sul motocarro e pronte per essere portate la mattina successiva al mercato, qualche frutto, pesche o ciliegie, non per fame, ma per fare qualcosa di trasgressivo e anche questo per gioco. Come un gioco fu la scoperta del sesso: prima, insieme agli altri maschietti, andavamo a prendere il sole in un prato nascosto, per poterci spogliare nudi e guardare reciprocamente se eravamo uguali; poi con l'unica bambina disponibile, Angela (ironia della sorte si è poi fatta suora), si giocava a fare i dottori, per vedere cosa aveva invece in mezzo alle gambe una femmina: che sorpresa! Angela era difettosa: al posto del nostro pisellino non aveva proprio niente, se non un taglio verticale, che secondo quanto ci ha detto lei, le serviva per fare pipi!
I miei primi ricordi risalgono a quando avevo tre anni: le foto mi ritraggono sul triciclo, mentre molto fiero giro per la piazza, ancora sterrata, come il resto della strada. Questi sono proprio i due ricordi: primo, le mie discese vertiginose a gambe divaricate giù dalla ripida strada di fronte a casa mia; secondo, il giorno in cui il paese è stato invaso da stradini e da ingombranti e pesantissimi macchinari (schiacciasassi), che, fifone come sono sempre stato, mi hanno messo una gran paura: sono fuggito a casa, dove mi sono barricato, mettendo i ferri alla porta. Ovviamente mi sono dovuto abituare a questi intrusi, perché, per trasformare tutta la strada da terrosa ad asfaltata, ci sono voluti parecchi mesi.
La scoperta che esiste un mondo al di fuori di Cesino avviene invece nei primi mesi del 1954, quando la neonata televisione viene vista anche da noi grazie a don Pertica che ne acquista una da mettere nella sala del dopolavoro. Così scopro il calcio, quello vero: il quattro luglio, per la finale dei mondiali a Berna Germania-Ungheria, sono l'unico nel salone a fare il tifo per i tedeschi (condizionato probabilmente dalle nostalgie politiche di mio padre), quindi dopo l'inizio tragico (all'ottavo si era già due a zero per i magiari) solo io ho esultato (in silenzio) per la rimonta di Rahn e compagnia, però quando nei giorni successivi giocherò a pallone con i miei amichetti mi ribattezzerò Puskas o Kocsis, che avevano colpito la mia immaginazione di bambino molto di più dei calciatori teutonici.
E scopro un sentimento nazionalistico, che era e, nel complesso rimarrà, al di fuori della mia mentalità, quando, il ventisei ottobre, si risolve l'annosa questione di Trieste e la Rai trasmette in diretta l'entrata dei bersaglieri nella città giuliana, con grande entusiasmo popolare, tra canzoni patriottiche o inneggianti alle ragazze di Trieste.
Questi sono sicuramente i due episodi che più mi colpirono, e che, infatti, ancora oggi ricordo, in quell'anno di avvento televisivo, o più probabilmente gli unici, perché in realtà, all'epoca, l'importanza preminente nei mezzi di comunicazione era sicuramente della radio.
L'apparecchio radiofonico era l'oggetto più importante della nostra sala; a proposito non vi ho ancora descritto com'era fatta la prima casa della mia vita. La palazzina era costituita da due piani (oltre il pianterreno); la mia famiglia (padre, madre e una sorella, più vecchia di me di quasi sette anni) occupava il piano di mezzo, al quale si accedeva tramite due rampe di scale; il primo scalino aveva un difetto: mancava di un pezzetto nell'angolo destro. Voi vi chiederete come faccio a ricordarmi di un particolare simile dopo tanti anni; semplice: un giorno, tornando a casa da scuola di corsa, ho centrato in pieno col mio piede destro quel vuoto nello scalino e il risultato si vede ancora adesso sulla mia fronte, con una cicatrice, ora piccola, all'attacco dei capelli (si fa per dire). Apriamo la porta ed entriamo nell'appartamento: l'ingresso è anche la sala e in pratica dove viviamo quando siamo in casa; sulla parete di fondo, di fianco alla finestra, fa bella mostra di se la radio, una grossa Telefunken. Subito sulla destra, la porta della stanza nella quale si trovava una cosa sola: un vero e proprio trono, due scalini di cemento e sopra il cesso! Questa stanza prima della costruzione del "trono" era una dispensa ed il cesso era all'aperto, in un gabbiotto nell'orto al piano terreno. Le altre porte della sala danno su quattro stanze, una usata come deposito di varie cose, due camere da letto (io dormivo nel lettone con i miei genitori), infine di fianco all'ingresso la cucina.
Torniamo alla radio. I programmi più seguiti erano quelli musicali che facevano la parte del leone nella programmazione, con le varie orchestre (la più famosa quella di Cinico Angelini), che si alternavano ad accompagnare i cantanti della propria scuderia: gli idoli del momento erano Nilla Pizzi, Carla Boni, Jula De Palma, Katyna Ranieri, Gino Latilla, Achille Togliani. I testi possono far invidia ai più demenziali degli Skiantos o di Elio con le sue Storie Tese; qualche esempio preso da "Sorrisi e Canzoni" del 18 luglio 1954:
"Marietta ...(monta in gondola)"
Lui: Marietta, monta in gondola
Che mi te porto al lido!
Lei: Mi noe che non me fido,
ti è massa un impostor...
Lui: Cossa te disi, cocola?
Perché tel quel boschetto...
Lei: Ti m'ha scrocà un basetto
Per pizzegarme el cuor.
Lui: E tiche-tiche-ti...ti te disi "no"
Ma mi so che te batte el cuore...
Tiche-tiche-tà.. anca lu' lo sa
Che a Venezia l'amor se fa...
...in gondoleta!
"Quando Berta filava"
Non sono più i tempi che Berta filava
Ma ditemi un po'
Quand'erano i tempi in cui Berta filò.
Forse in un tempo Berta c'è stata
E forse allora c'erano già
Quelli che al solito le avran cantata
La vecchia storia di un'altra età.
Altro appuntamento fisso, mentre si cenava, il Radiosera delle 20. Collegato a questo è un altro mio vivido ricordo: giovedì 25 luglio 1956 eravamo a tavola, quando la voce del lettore del giornaleradio annunziò, come prima notizia, l'affondamento dell'Andrea Doria, orgoglio della marina mercantile italiana, al largo di Nantucket (famoso porto di partenza dei balenieri statunitensi) in seguito ad una collisione con il transatlantico svedese Stockholm; un silenzio spettrale piombò sulla nostra sala: lo zio Pippo (che da quando era morta la moglie, viveva con noi) aveva lavorato per anni nel porto di Genova e la perdita della capoflotta, varata proprio a Genova, lo aveva distrutto, così come i miei genitori, e proprio questo mi colpì: il dolore maggiore non era per le perdite umane, ma per la nave. È la fine del sogno dell'Italia del dopoguerra. Il Paese, che faticosamente ha portato avanti la ricostruzione, crede nel mito dell'inaffondabilità del transatlantico dell'Italia Navigazione: quel giorno di luglio questo mito crolla.
Anche il calcio radiofonico mi entusiasma con le radiocronache più o meno immaginarie di Nicolò Carosio, soprattutto quando c'è di mezzo la Nazionale, e mi fanno diventare un tifoso accanito e fanno nascere in me il maggior amore sportivo della mia vita: la Sampdoria. Al riguardo mi ritorna in mente il primo episodio che mi coinvolge, anche se indirettamente, con protagonista la squadra del mio cuore: il 28 ottobre 1956 era in programma il derby con il Genoa; il fratello di mio padre, lo zio Gianni, era arrivato da Oneglia il sabato precedente per andare a vedere la partita. La domenica mattina mia mamma prepara il sacchetto con i panini e un fiasco di vino per il pranzo da consumarsi al campo. Io sono troppo piccolo e con mio papà e lo zio si reca a Genova mia sorella. Inizia la partita e si mette subito male: dopo diciannove minuti il vecchio Carapellese porta in vantaggio i rossoblu. Nei distinti i tifosi sono mischiati (non come adesso che sono rigorosamente separati per paura di incidenti) e due genoani, davanti ai miei parenti, parlando tra loro, ma a voce ben alta, dicono "adesso possono andare per funghi"; passano altri diciassette minuti ed ecco che il centravanti Macor raddoppia: i due davanti esplodono e urlano occhieggiando dietro "ed ora possono davvero andare per funghi"; mio zio e mia sorella vorrebbero reagire in qualche maniera, solo mio padre mantiene la calma e quando dopo tre minuti "tacchino freddo" Firmani accorcia le distanze, tranquillamente si rivolge al fratello chiedendogli il fiasco di vino dice "mi sono rimasti sullo stomaco dei funghi, dammi un po' di vino che cerco di digerirli".Il primo tempo finisce così, ma dopo soli due minuti del secondo il grande Ocwirk pareggia; "passami un altro po' di vino che mi sembra di aver quasi digerito i funghi" dice mio padre e i due davanti glielo spaccherebbero volentieri in testa quel fiasco; ma per loro il peggio doveva ancora arrivare: al quindicesimo un tiro dei nostri è deviato da De Angelis, provocando un clamoroso autogol e il rovesciamento del risultato. "Gianni, mi sembra di sentirmi meglio, passami il fiasco che ormai ho digerito completamente i funghi", dice mio padre e i due davanti furibondi abbandonano il campo mezz'ora prima della fine.
Quando parlavo della posizione della mia casa, mi sono dimenticato di dire che dalla finestra della sala si vedeva l'aula della scuola elementare da me frequentata. A proposito di questo mi ricordo il giorno (23 giugno 1953) in cui ho compiuto sei anni. Ero tristissimo e mi ero isolato in un angolo della grande piazza: mi hanno raggiunto e chiesto perché non fossi felice in quel giorno di festa; la mia risposta: "Da ottobre mi tocca andare a scuola". E difatti il giorno del primo giorno di scuola mi sono rifiutato di attraversare la strada per raggiungere i miei compagni in classe; allora è venuta la bidella a prendermi direttamente a casa. Le classi poi erano solo due: in una c'eravamo noi di prima insieme ai bambini di seconda e a quelli di quinta, nell'altra la terza e la quarta La maestra spiegava a turno le varie materie e quando non era il nostro, dovevamo svolgere i compiti scritti: grazie a questo i pomeriggi rimanevano liberi per scatenarci come il solito nei prati e nella strada.
La strada e la piazza non riservavano per noi alcun pericolo: automobile ce n'era una sola, come già detto, quella del dottore; una foto ci ritrae tutti noi bambini sul predellino esterno della Bugatti in un tentativo di record da Guinness dei primati; poi c'era un camion OM del padre di Dario, mio compagno di classe, un motocarro col quale la frutta raccolta nei campi era portata ai mercati, il "Galletto" di don Pertica e infine una moto DKW, appartenente questa a mio padre: una foto mi ritrae, con tanto di casco, in sella alla due ruote col numero 13, ovviamente issata sul cavalletto. Un ricordo ben peggiore questa moto me lo ha lasciato il giorno nel quale aiutai, spingendolo, mio padre, perché il motore non si voleva accendere; appena mi attaccai al seggiolino posteriore, la moto partì, sorprendendomi e trascinandomi per alcuni metri; risultato? Spellato dalla fronte alla punta dei piedi e mi ci vollero parecchi impacchi d'olio per lenire il bruciore. Solo quando ritornò di sera, mio padre, vedendomi scorticato in quella maniera, venne a sapere quello che era successo. E con questo i miei rapporti con le moto si chiusero per il resto della mia vita.
A proposito di rapporti tesi, anche quelli tra me e la Chiesa non erano, già a quei tempi, idilliaci. Nel 1956 dovevo prepararmi per la mia prima comunione, ma per farmi andare al catechismo, doveva venire a cercarmi nei prati, dove mi nascondevo, il curato. Del libro di dottrina mi ricordo solo il triangolo col grande occhio di Dio, che vede tutto; mi ha sempre disturbato l'idea di quell'occhio, che dall'alto mi guardava in ogni situazione, anche quando ero seduto sul trono. La chiesa di Cesino è molto bella e antica, ma l'odore d'incenso non l'ho mai sopportato e il fatidico giorno della mia prima comunione (tra l'altro da solitario, perché, essendo mio padre il capostazione di Pontedecimo e quindi un "notabile" del paese, non ho fatto la cerimonia collettiva con i miei coetanei, ma da solo come un principino) non lo ricordo come uno dei più allegri della mia vita. Tra l'altro peccai subito: al pranzo, dal "Gnocco" a Isoverde, mia cuginetta Mara continuava ad attaccarsi allo schienale della mia sedia, alla fine decisi di farle uno scherzetto: quando lei si attaccò ancora una volta, mi alzai di scatto e la feci cadere distesa sul pavimento in lacrime, l'unico momento memorabile della giornata. Tre mesi dopo, il giorno dell'inaugurazione dell'anno scolastico, feci la mia seconda comunione e, decisi allora, ultima.
La chiesa parrocchiale di Sant' Antonino, a Cesino, una delle più antiche del Genovesato; "è certo che nel 975 qui viveva un Sacerdote e la Chiesa funzionava come Parrocchia" (Giacomo Vigo). Naturalmente il complesso strutturale dell'edificio attuale è il risultato dei molteplici rifacimenti architettonici che si sono succeduti nel tempo, poiché della composizione di quello originario si è perduta ogni memoria.
La televisione già nell'anno successivo alla sua nascita incominciava ad avere una maggiore importanza per la nostra piccola comunità, come per l'Italia intera, grazie a programmi come "Lascia o raddoppia" con un giovane (trentun'anni) Mike Bongiorno, e come "Casa Cugat". A proposito di questa trasmissione bisogna dire che le curve della giovanissima e sexy moglie del direttore d'orchestra cubano, Abbe Lane, non potevano turbare più di tanto i nostri sonni, in quanto non appena si presentava sullo schermo a ballare tutta curve e colpi d'anca, piombava nella sala don Pertica a staccare direttamente dalla corrente l'apparecchio televisivo e ci spediva tutti, giovani e vecchi, a dormire.
In paese i passatempi preferiti dagli adulti erano le bocce e le carte, entrambi i giochi accompagnati da vino e fumo. Io ero troppo piccolo per partecipare ai vizi (ai giochi no, anzi a bocce ero un mezzo campione di tappadda), ma ho dei ricordi collegati ad entrambe le cose. Se per anni non ho bevuto vino, è perché un giorno (avrò avuto circa sette anni), finito il pranzo, mi divertii a scolare tutti gli avanzi di vino nei bicchieri in tavola; il risultato non fu molto divertente e l'odore di vino mi provocò fastidio per molti anni, così come l'odore del fumo, questo per colpa del mio amico del cuore, Ernestino, che mi convinse a provare a fumare una sigaretta; non avevo ancora nove anni e il fastidio di quel gusto in gola e nel naso m'impedì per tutto il resto della mia vita di ripetere l'esperimento. Più divertente il secondo episodio legato alle sigarette: gli anziani (sic! così mi sembravano) avevano l'abitudine di usare noi bambini per farci fare delle commissioni; così un giorno mi chiama Attilio mi da cento lire e, con un sorriso furbetto, mi dice "Vai a comprarmi le Esportazioni e col resto prenditi delle caramelle"; corro da Rina, la tabacchina, ma, quando le chiedo le caramelle, mi dice che non c'era resto. Pochi giorni dopo la scena si ripete: cento lire, Esportazioni, resto, caramelle; il finale però è diverso: chiedo a Rina "Le Nazionali Semplici quanto costano?", "Novantasette lire" la risposta, "Allora dammi quelle e, al posto del resto, tre lire di caramelle". Quando riporto le sigarette al bar, Attilio si sbellica di risate facendo lo sportivo, però non mi manderà mai più a comprargli le sigarette.
La scuola, dopo l'inizio traumatico, era diventata persino piacevole, grazie ad una bravissima maestra, in grado, con la dolcezza, di tenere a bada una ventina di bambini d'età diverse. Tra l'altro mi è toccato esibirmi per due volte come attore nel teatrino del paese nella solita recita scolastica:
nella prima, ero una specie d'anticipo dei puffi blu, con tanto di campanelli sul cappuccio;
nella seconda uno studente imbroglione che cercava di ipnotizzare (abracadabra, a me gli occhi, dico nella foto ad Aldo, che scoppia a ridere) il maestro per farsi dare i voti migliori.
Mi era stata risparmiata invece la partecipazione all'edizione casereccia di "Lascia o raddoppia", perché l'ideatore dello spettacolo era stato mio padre e, onesto com'era, non voleva che si pensasse che potessi essere favorito.
Non sapevo che questo piccolo mondo incantato era destinato per me a finire presto. Il Natale del 1956 mi porta una brutta sorpresa: mio papà accetta il trasferimento da capostazione di Pontedecimo a dirigente centrale nella stazione di Genova Principe e conseguente trasloco di casa.
Mercoledì 9 gennaio 1957: eccomi qui, dunque, paracadutato dalla campagna di Cesino alla piazza più incasinata di Genova, quella della stazione Brignole. Auto, tram, autobus da un lato, treni dall'altro: sì, perché ci hanno assegnato una casa proprio nell'edificio della stazione. La cosa migliore è che la scuola elementare è vicina e per arrivarci oggi passerò da via S.Vincenzo, piena di negozi ed insegne luminose, con all'inizio una confetteria/cioccolateria e una pasticceria dalle quali faccio provvista per la merenda delle 10,30.
Sabato 28 gennaio 1961: è la serata finale dell'undicesimo festival di Sanremo. Siamo tutti riuniti nella nostra sala: la mia famiglia, i vicini del nostro piano e anche quelli del sottostante; pochi giovani, parecchi anziani (mi fa male dirlo adesso, visto che avevano solo quarantotto anni contro i miei attuali cinquantacinque!) a fare il tifo davanti alla televisione per i nostri beniamini. Per la prima volta da quando seguo la manifestazione canora, uno di noi, un giovane scatenato può vincere: eccolo che si presenta, ma cosa fa?, rivolge la schiena al pubblico mentre già incomincia a cantare, poi parte il ritornello "con 24.000 baci..." e di scatto si gira e si dimena come morso da una tarantola; intorno a me prima il silenzio, poi proteste clamorose da parte dei vecchi (continuo a farmi del male): "maducou", "u pa' 'na scimmia", "che stonou"; a mia volta insorgo, per la prima volta (all'epoca non si usava) mi ribello e li accuso di non capire niente. Eccoci infine al risultato finale; sono tesissimo, sono già state assegnate tutte le posizioni dal dodicesimo al quarto posto e Adriano Celentano non è ancora stato nominato, l'unico pericolo mi sembra Milva con "Il mare nel cassetto", ma eccola che viene chiamata: terza. E' fatta, penso; non può certo vincere una canzone vecchia e cantata in maniera così antiquata come "Al di là" della coppia Tajoli/Betty Curtis . Ed invece arriva la mazzata: "24.000 Baci" è seconda.
Giovedì 22 novembre 1962: cosa mi è girato di andare al classico? A quindici anni non si può stare tutto il giorno a studiare greco e latino. Ora esco un po'. Per fortuna il vantaggio di essere figlio di un ferroviere mi consente di abitare nell'edificio della stazione Brignole. Quindi esco e mi ritrovo in centro. Il grattacielo della Sip in via S.Vincenzo continua a non crescere: la base è sempre allagata (a proposito la strada dopo l'acquazzone pomeridiano è tutta una pozzanghera); però il palazzo vicino è a buon punto; cosa metteranno sotto i portici ? Speriamo dei bei negozi. Passo davanti ad un bar, il juke-box sta sparando la nuova canzone di Elvis, "Return to Sender"; mi piacerebbe comprare il 45 per il mio mangiadischi, ma per me è troppo caro.
Domenica 19 dicembre 1965: oggi ho un appuntamento allo stadio; per tutta la settimana Fuffo Bernardini ha proclamato di aver trovato il modo per bloccare Facchetti, facendolo marcare da un centrocampista (Catalano) e quindi mi reco fiducioso a vedere Samp-Inter: infatti dopo dodici minuti proprio il lungo Giacinto ci rifila un goal, seguito da una vera e propria grandinata (alla fine saranno cinque!). Non ho voglia di tornare a casa e, siccome si sta avvicinando Natale e i negozi sono aperti, vado a fare un giro per vedere un po' di vetrine. In via S.Vincenzo quando arrivo dai portici del Paradiso dei Bimbi, sento arrivare una musica dall'altro lato della strada, dai nuovi portici sotto il palazzo, vicino al'orrendo grattacielo della Sip (ancora a metà: non riescono proprio ad andare avanti), che ha sostituito, purtroppo, le vecchie case storiche. Mi accorgo di una nuova insegna "Disco Club"; attraverso per vedere di cosa si tratta: una vetrina piena dei 45 giri della hit parade e anche di dischi più grossi, non adatti per il mio mangiadischi, molto colorati e, quasi tutti, di complessi stranieri, che io non conosco; due casse esterne diffondono la musica per tutta la strada. Era meglio prima con i due negozi di dolci, ma almeno avrò un vantaggio: non dovrò più andare in via Fieschi dalla Ricordi per comprare i 45 giri.
Sabato 7 ottobre 1972: oggi non ho voglia di studiare quella barba di diritto amministrativo; andiamo a scegliere un disco da Disco Club. Giro, come sempre, per almeno una mezz'ora tra gli scaffali, pieni dei miei artisti preferiti; sono indeciso tra alcune incisioni dell'ultimo anno, "Foxtrot" dei Genesis, "Living In The Past" (uscito il 23 giugno, giorno del mio venticinquesimo compleanno) dei Jethro, "Storia di un minuto" della PFM e "Harvest" di Nello il Giovane, come lo chiama Carlo (il proprietario del negozio): scelgo questo e mi avvio alla cassa. Pago, ma Carlo mi trattiene con molte chiacchiere, non capisco cosa voglia in realtà da me, fino a quando non mi propone di aiutarlo a mettere insieme un giornalino per reclamizzare i dischi da vendere per corrispondenza. Rimango sorpreso (non capisco come mai abbia fatto quest'offerta proprio a me tra le centinaia di clienti del negozio), ma anche lusingato e, quindi, accetto. Nasce "Pop Records" e, in men che non si dica, mi trovo sbalzato dall'altra parte del banco.
Venerdì 24 novembre 1972: cosa mi è girato di fare Giurisprudenza? A venticinque anni sono ancora qui che mi rompo le scatole con tutti questi diritti. Andiamo a fare un giro in S.Vincenzo; per fortuna sotto i portici c'è Disco Club, andiamo a fare due chiacchiere con gli amici, intanto mi si asciugano i piedi (sono finito nella solita pozzanghera). Carlo ha messo su l'ultimo album dei Rolling Stones "Exile on Main Street": "Tumbling Dice" è veramente un gran pezzo, ma il lp è doppio e costa veramente troppo.
Venerdì 31 luglio 1976: giorno lieto da una parte perché è venerdì e per due giorni non vado in banca (ci lavoro da più di due anni, ma continuo a non sopportarlo), tristissimo dall'altro perché è l'ultimo giorno da Disco Club; a febbraio mi sono sposato con Franca, la commessa del negozio, e adesso Carlo (come si usa in questi casi), temendo che rimanga incinta e di ritrovarsi quindi con un peso sul groppone, la licenzia. Ovviamente, nonostante la sua incredibile richiesta di continuare ad andare in negozio nei ritagli di tempo ed al sabato, anch'io abbandono, per la prima volta in vita mia colpito da chi pelo ne ha magari poco sulla testa, ma tanto sullo stomaco.
Sabato 6 maggio 1978: rincomincia l'avventura Disco Club, non a Genova, a Santa Margherita, ma l'insegna è la stessa. I primi clienti mi chiedono soprattutto 45 giri da hit parade e non conoscono la maggioranza dei lp che espongo, ma sono convinto di riuscire ad educarli e a portarli verso la musica giusta, insomma quella da "Disco Club".
Lunedì 2 gennaio 1984: non ci posso credere, oggi apro il negozio ed entro a Disco Club, ed entro nel "mio" negozio. Lo strabiliante è che non sono a Santa Margherita, sono in via S.Vincenzo! Carlo ha alzato bandiera bianca; in realtà a lui della musica non è mai fregato niente (gli piacciono Elvis, Sinatra e pochi altri) e in questo periodo, per la concorrenza che prima mancava, non può più ladroneggiare i giovani amanti del rock e quindi il guadagno non è più lo stesso: ovviamente non trova nessun scemo disposto ad accettare le sue condizioni capestro all'infuori di me. Il fatto è che io sono innamorato di questo negozio e sono disposto a qualsiasi sacrificio pur di farlo andare avanti; è come se fosse uno di famiglia.
Novembre 2002: cosa mi è girato di rilevare un negozio di dischi non lo so. Sono le otto e sono già qui ad aspettare che arrivi il corriere. E' incredibile come è cambiata via S.Vincenzo in questi ultimi anni: è molto più vivibile e decisamente più bella senza asfalto e con i sanpietrini, peccato che non siano messi in maniera perfetta, così quando piove, come oggi, le pozzanghere sembrano dei piccoli laghi. Arrivano i pacchi, per fortuna, altrimenti avrei perso valanghe di vendite dei dischi più venduti in questo prenatale: i due best di Elvis Presley e dei Rolling Stones. Sono due raccolte veramente esaurienti (e altrettanto veramente, care). Per Elvis copre circa vent'anni di carriera dal primo grosso successo rock'n'roll del 1956 "Heartbreak Hotel" (otto settimane in testa alla classifica) alle ballate fine anni sessanta "In the Ghetto" e "Suspicious Minds" passando attraverso tutta una serie di numero uno (compreso "Return to Sender") nelle vendite (in totale trenta canzoni più il remix di "A Little Less Conversation"). Per gli Stones poi finalmente un'antologia completa che parte dal periodo Decca ("Satisfaction", Paint It Black", "Ruby Tuesday" e tante altre) e segue l'evolversi della loro carriera fino ai giorni nostri con i successi degli anni settanta ("Angie", "Brown Sugar" e naturalmente "Tumbling Dice") e, a dire il vero non molti, dell'ultimo ventennio ("Start Me Up", "Emotional Rescue" e pochi altri).
Per concludere questa mia storia, devo dire che in questi quarant'anni tutto è cambiato nel mio microcosmo meno tre cose: le pozzanghere di via San Vincenzo, il caro-dischi e la musica: nel 2000 disco di natale i Beatles, nel 2001 i Pink Floyd e nel 2002 Elvis e i Rolling. Ma allora il rock si è fermata ai primi anni settanta o addirittura: la musica è finita?
Sabato 18 aprile 2009: no, la musica non è finita, anzi eccoci ancora qui a festeggiare il terzo Record Store Day (secondo per noi di Disco Club). E' la festa mondiale del piccolo negozio di dischi ed io sono riuscito a portare il "mio" negozio a questo traguardo dopo 44 anni di apertura. E' stato tutto molto bello: Omar e Giovannino che all'interno facevano i dj per far divertire i più giovani; Maurizio che per tutto il giorno ha dovuto stampare le nuove t-shirts col marchio "Disco Club"; e nel gazebo del bar Verdi, da noi occupato, i concerti di Zuffanti, Rice On The Record, En Roco, Davide Mocini con i Raxa e Paolo Bonfanti. Quando Paolo attacca "ogni mattina quando ti svegli e strisci fuori dal letto" (cover di Leo Kottke), è così realistico che sembra davvero che ieri sera abbia avuto un incontro con zio Luciano, suo discografico e sommelier in quel di Courmayeur (peccato che Paolo sia astemio), e, tra un assaggio e l'altro, questa mattina abbia avuto difficoltà ad alzarsi. Adesso la festa è finita, ma io sono ancora qui ad aspettare la telefonata di John per Raistereonotte (mi hanno chiesto un'intervista): ha detto che avrebbe chiamato a mezzanotte e quaranta, ma non si è ancora sentito. La solita solfa: dodici anni fa mi ha promesso di portarmi tre copie del cofanetto dei Franti ed ogni volta che lo vedo dice di esserseli dimenticati a casa. Mentre aspetto, mi perdo a pensare la fine che farà il mio negozio: magari tra 44 anni sarà ancora aperto! Speriamo che John non si dimentichi di chiamarmi, perché fra un po' sono io a strisciare sotto la scrivania. Quasi l'una, finalmente squilla; devo fargli capire che sono un po' incavolato. Rispondo alla mia solita maniera in questi casi: discoocluuuub!!
Sabato 19aprile 2053: eccoci qui. Ce l'abbiamo fatta: è la quarantasettesima edizione del Record Store Day!
Anche quest'anno in negozio Giovannino e Omar fanno i dj: i giovani hanno sempre voglia di ballare, poi con i soliti Pogues, tra l'altro da quando si è messo la dentiera McGowan sembra più giovane di 50 anni fa. Nel gazebo ancora concerti e questa volta, quando intona "ogni mattina quando ti svegli e strisci fuori dal letto" penso che per Paolo sia l'unico modo per alzarsi, vista l'età; però a suonare la chitarra è sempre un fenomeno.
Ora mi faccio portare a casa dal mio cliente taxista e anche questa volta mi toccherà aspettare fino a chissà che ora la telefonata di John per Raistereonotte. A proposito, non mi ha ancora portato il cofanetto dei Franti; non è più così importante perché i tre clienti che lo volevano non ci sono più, ma è una questione di principio: deve portarmeli! Quando si decide a telefonare, devo cantargliele. Finalmente! Ecco la telefonata, andiamo a rispondere: diiiscooocluuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuub!
L'inizio e la fine di questa mia prefazione sono, ovviamente, di fantasia. ma non quello che leggerete da adesso in poi. Per quanto strampalati e irreali vi potranno sembrare i personaggi, in realtà essi sono , o sono stati, realmente esistenti
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