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MOBY GRAPE - Le ristampe Sundazed
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Rock Monografie MOBY GRAPE - Le ristampe Sundazed
 

MOBY GRAPE - Le ristampe Sundazed Hot

Image“Stavo producendo gli Sparrow (che poi divennero gli Steppenwolf): erano gli headliners di un concerto al The Ark, a Sausalito, ma furono totalmente eclissati dalla formazione che li precedeva. Era la cosa più vicina ai Rolling Stones che avessi mai visto negli USA. Chiesi: “ma questi chi sono?”. Erano i Moby Grape”
(David Rubinson)

Pochi gruppi sono stati discussi quanto i Moby Grape, almeno per quello che riguarda la scena californiana dei Sessanta. Un soggetto dalle grandi potenzialità, distrutto subito da intemperanze spettacolari, irrequietudini dei vari componenti, temerarietà produttive (per la Columbia uscirono in simultanea cinque singoli, all’epoca del primo LP) e una scarsa coesione interna. Con una formazione di tutto rispetto (Skip Spence, Peter Lewis, Jerry Miller, Bob Mosley e Don Stevenson: tre chitarre, quella di Miller particolarmente virtuosa, voci che si intrecciavano in maniera efficace, basso e batteria), non riuscirono mai ad imporsi in una scena affollatissima, capace di schiacciare talenti in pectore (basta dare un’occhiata agli outsider del periodo) anche del loro livello – per i maligni, pure più bravi. Portati all’esordio da un manager scaltro come Matthew Katz (il responsabile dell’ascesa dei Jefferson Airplane), prodotti proprio da Rubinson, di sicuro hanno puntato su un eclettismo quasi esasperato per tracciare il proprio stile.

 

 

ImageSkip Spence aveva già suonato la batteria nei Jefferson, ma il suo estro andava in un’altra direzione. Il contatto con Mosley e Lewis, concertato da Katz, mise in connessione San Francisco e Los Angeles, dando probabilmente quel tocco più aspramente rock alle composizioni. Un apprendistato fatto di concerti roventi dal vivo fece il resto: quando i cinque arrivarono al contratto discografico, le aspettative erano tante. Venne strappato un anticipo di 5000 dollari, a Spence si pagarono le spese dentarie, le incisioni ne costarono 11000; come ringraziamento, i Nostri si impelagarono subito in guai di ordine pubblico e droga. Nonostante le 200.000 copie vendute, la disintegrazione dei rapporti fra i membri originali e l’inavvicinabilità di Skip, immerso nell’acido, fece il resto: Wow, ancora prodotto da Rubinson, passò quasi inosservato e fu l’inizio di una lunga agonia.

ImageQuesta, sommariamente, la storia. Quello che però ci interessa qui è la mole di ristampe che la Sundazed ha appena approntato della band: tutte le uscite originali, dall’esordio a Truly Fine Citizen, con una buona messe di inediti. Cinque dischi invece degli originali quattro, dal momento che il bonus album allegato a Wow, Grape Jam, è stato considerato un’opera a parte. L’appassionato che ha già acquistato all’epoca tutto, oppure più tardi le riedizioni su vinile o infine, nel 1993, un The Very Best Of Moby Grape su doppio dischetto, ha di che innervosirsi: le nuove chicche in parte sono una vera sorpresa, e per giunta di buona qualità: particolarmente quelle dell’esordio, Moby Grape (1967), due demo interessanti come minimo, – e incredibilmente moderna appare, anche oggi, Looper, come pure migliore la versione di Indifference che non finì nell’LP originale – la prima incisione di Bitter Wind, e una particolarmente avventurosa (dura sei minuti) di Sweet Ride.

ImagePer Wow (1968) è la prima volta su cd, almeno di ottima qualità (grazie all’infaticabile Bob Irwin, in pratica il restauratore di fiducia di tutto il Frisco-Sound, e non solo), con sei tracce in più che non fanno grande differenza, se si eccettuano una Miller’s Blues alternativa, ultra-elettrica, e un abbozzo di Seeing di Spence, poi nell’album successivo. La Grape Jam (1968), a cui presero parte nomi come Mike Bloomfield, Nicky Hopkins, Al Kooper, è arricchita di tre improvvisazioni supplementari (Grape Jam No. 2, Grape Jam No. 9 e Bags' Groove), ma resta una appendice del lavoro precedente, mentre di ’69 (1969) la cosa migliore è l’ossatura originale. C’è poi Truly Fine Citizen (1969), registrato in fretta e furia da Lewis, Mosley e Stevenson, con extra senza infamia né lode, che ribadisce la fine controversa dell’avventura, prima di una serie esasperata di reunion, lontanissime (quella del 1971, con lo sbilenco 20 Granite Creek) e più vicine a noi, spesso con la sigla usata a mo’ di specchio per le allodole dal depositario del nome, l’ineffabile Matthew Katz.

Il lascito migliore dei Moby Grape è comunque l’opera prima, omonima. Grandi suggestioni acustiche (8:05, Naked If I Want To, Sitting By The Window), elettricità lancinanti (Hey Grandma, Fall On You, Changes) e un senso della melodia che all’epoca riusciva a farsi notare, in mezzo a pezzi da novanta come Byrds e Airplane. Wow è ancora baciato dal genio e dalla bizzarria, come dimostrano sia Murder In My Heart For The Judge sia Motorcycle Irene, prima che Skip Spence (1946-1999) prendesse il volo per un’opera da solista di culto, Oar (1969: ripubblicata, sempre da Sundazed, nel 1999, in una edizione ovviamente espansa e ripulita), diventando una specie di Barrett del folk e chiudendo davvero la storia più rilevante dei Grape, una volta per tutte. (John Vignola)

(da Il Mucchio n. 640 novembre 2007)

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