I dischi più belli non sono quelli che lasciano un’impressione passeggera di bellezza: sono quelli che resistono ad ogni ascolto successivo, e che ogni volta regalano prospettive sonore inedite. Succede con Sgt. Pepper, con London Calling, con Pet Sounds, con Dark Side of the Moon. E anche con questo capolavoro un po’ dimenticato, oggi finalmente di nuovo disponibile, e di una rilevanza musicale assoluta. Come sempre accade quando appare qualcosa che, col senno di poi, sembra chiudere un’epoca, e annunciarne un’altra ( pensate a O.K. Computer dei Radiohead o a The Shape of Jazz to Come di Coleman, per capirci), lì per lì il sasso lanciato nello stagno sembra andare subito a fondo.
Poi scopri che i cerchi concentrici erano infiniti, e che continuano a increspare l’acqua. Aksak Maboul fu un collettivo belga arricchito, qui, dalla presenza di Chris Cutler e Fred Frith dai gloriosi Henry Cow. Incisero questo capolavoro d’opera allo scorcio degli anni Settanta, uscì nel primo anno di quelli del riflusso. Indie rock ante litteram, pulsioni punk, rock in opposition, ambient music, sarcasmo feroce zappiano, incredibili citazioni “etniche” quando ancora non esisteva la world music, tanghi sghembi, dolcezza prog, perizia jazz e ferocia punk a braccetto per un mondo che scompariva, e ne annunciava un altro. Riascoltiamo stupiti, commossi, e anche un po’ spaventati da tanta visionarietà. (Guido Festinese)