Hidden Details: dunque“dettagli nascosti”. Titolo programmatico per questo nuovo capitolo in studio di una delle band più gloriose del jazz rock inglese, in sostanza un invito a guardare oltre l’immediata evidenza che la macchina morbida” ha cinquanta primavere sulla schiena, e a cercare tracce significative di un passato che fui tanto visionario e innovativo da apparire ancora oggi come uno spicchio di futuro. E a conferma ci sono centinaia di band contemporanee, che sulle piste ignote tracciate dai Soft Machine, magari con un pizzico in più di elettronica si muovono come su autostrade sicure. I Soft Machine 2018 sono, per nostra fortuna, tutti musicisti che in una fase o l’altra della vita sono per davvero transitati nella creatura sonora che fu di Robert Wyatt e Hugh Hopper. Dunque John Etheridge alle chitarre, talento vertiginoso spesso dimenticato, Theo Travis con fiati e tastiere, forse oggi “il” fiatista progressivo più amato, Roy Babbington al basso, l’immenso John Marshall alla batteria. In pratica la ricomposizione auspicata dei “nuovi” Soft Machine e della Soft Machine Legacy attiva in parallelo.
Premesso che qui si recuperano con amore e inesausta voglia di sperimentare le antiche The Man who wawed at trains, e la visionaria Out Bloody Rageous, dalla prima storia dei Softs, c’è da dire che il disco suona potente e interessante, alternando momenti struggenti a labirintici paesaggi di confine tra jazz e rock che temevamo di non ascoltare più. E Travis, quando poggia le mani sul Fender Rhodes e si diverte a mettere in loop piccoli grappoli sognanti di note omaggia il genio dimenticato di Ratledge. (Guido Festinese)