Ci sono molti motivi per amare questo disco, a parte l'ovvia considerazione che è un gran disco, musicalmente parlando, e una magnifica macchina del tempo che spesso orienta le lancette della storia in un imprecisato momento storico che sta, diciamo, tra il 67 e la metà del decennio successivo. Il motivo è che per il rientro in pista di Chris Hillman dei Byrds a distanza di dieci anni dal precedente lavoro, la curatela è stata affidata al grande Tom Petty: produttore e musicista, qui, con la sua solida band, dunque ultimo lavoro su cui il biondo di “Damn the Torpedoes” è riuscito a mettere le mani. Gli altri amici accorsi a dare una mano a questo disco che suona come una bella reunion dei Byrds in session con gli Heartbreakers, la band di Dylan, e la Nitty Gritty Dirt Band se proprio vogliamo metterci tutti, sono Roger McGuinn, David Crosby, la Desert Rose Band. Avrete capito cosa aspettarvi: scintillante jingle jangle sound chitarristico, armonizzazioni precise e celestiali, brani ben scritti e ben suonati a caccia di spirito “country rock” originario.
Apertura con una chicca da Peter Seeger, The Bells of Rhymney, che i Byrds registrarono mezzo secolo fa sul loro disco d'esordio, e poi anche Wildflowers di Petty, She Don't Care About Time di Gene Clark, Walk Right Back degli Everly Brothers. Quando a firmare è Hillman, la qualità è comunque altissima, e l’aria di festa e rimpatriata continua. (Guido Festinese)