A riprova di quanto le (brutte) storie della politica vadano a ricadere sulla vita quotidiana di tutti, musicisti compresi, c'è ad esempio la sorte di migliaia di musicisti messicani negli Usa. Per il Presidente Trump, sbrigativamente, pressoché chiunque arrivi dal Paese sotto gli Usa è un “bad hombre”, una persona malvagia. Cioè non esattamente “bianco, anglosassone protestante” come dovrebbe essere il mondo a stelle e strisce. C'è molta rabbia in questo disco solo del batterista Antonio Sanchez: con il ricavato di una colonna sonora fortunata s'è comprato una casa con una cantina trasformata in studio di registrazione, e lì è nato Bad Hombre. Introdotto da note mariachi, e poi intessuto di poliritmie vertiginose smontate e rimontate con una selva di macchine elettroniche, con cupe tessiture ambient e strappi apocalittici quasi rock, echi e un senso di claustrofobia che deve essere quello che si respira perfino negli spazi aperti dove già esiste un pezzo di muro per separare i “malvagi” dai bravi bianchi armati fino ai denti. I muri, come diceva Tabucchi, si possono solo abbattere o scavalcare. E quelli di cupa grettezza culturale sbriciolare con dischi lucidi come questo. (Guido Festinese)