Man And Myth è un ottimo lavoro a prescindere dalla benevolenza con cui, in ambito ‘musica giovane’, viene spontaneo trattare un artista settantaduenne qual è Roy Harper. In realtà il disco sta alla pari con quelli del periodo d’oro 1967-75, perdendo il confronto solo con l’inarrivabile (per quasi chiunque, peraltro) Stormock. Come già accaduto a Vashti Bunyan, anche Harper è stato riscoperto da più giovani musicisti-ammiratori quali Joanna Newsom, che lo ha portato con sé in tour, e Jonathan Wilson, che è il co-produttore di Man And Myth. Si tratta di un lavoro ampio e potente (la suite Heaven Is Here/The Exile), in diversi momenti di grande luce melodica (Time Is Temporary, The Stranger) e in cui la voce sa essere tanto morbida quanto rabbiosa e ancora capace di risalire le ottave senza troppa fatica (Cloud Cuckooland). Lo si potrebbe definire album commovente, ma sarebbe come trattare con condiscendenza un musicista che appare assolutamente vitale, anti-nostalgico e ben calato nel qui e ora. (Antonio Vivaldi)