È da quando si sono sciolti gli Smiths (1987) che aspettiamo qualcosa di bello da Johnny Marr: perché è un grande chitarrista, perché stava in gruppo amatissimo, perché è una persona cortese e a modo (cosa che non si può dire del suo ex amico Morrissey, il quale, da solista, ha comunque lasciato un segno importante). Fin qui le cose non gli sono andate benissimo: gruppi e supergruppi effimeri, comparsate in veste di sideman di lusso, brevi presenze in formazioni come i Modest Mouse (nomen omen) e Cribs e solo ora il primo album da solista. Che dire? Che The Messenger è un buon disco, ma voler bene al suo autore aiuta ad apprezzarlo: alcuni attacchi di chitarra (ad esempio quello della title-track) sembrano proprio uscire da un disco degli Smiths ed è un piacere ascoltarli, mentre gli sviluppi melodici tendono a finire dalle parti di un gradevole, ma non travolgente brit-pop anni ’90. Per il resto Marr è abbastanza saggio da non sfidare Morrissey sul terreno del pathos vocale e narrativo preferendo cantare con tono piano di politica, società, nuove tecnologie e diritti degli immigrati (tutta roba che a Moz fa restare sullo stomaco l’insalatina). Manca il guizzo melodico decisivo, ma chitarre così belle erano anni che non si ascoltavano. (Antonio Vivaldi)