Meno male che la Bailam c'è, verrebbe voglia di dire, sbeffeggiando un po' un celebre slogan politico-affettivo demenziale. Meno male che ce l'abbiamo noi, a Genova, che un tempo fu porta del Mediterraneo, ed ora più che nobile portone è una bascula passagatti per randagi disillusi. Loro, da decenni, con un'ostinazione motivata che da sola dovrebbe garantire qualche spicciolo di eternità e soldini per buon vivere, portano avanti un discorso storico musicale che, sulla bilancia degli spessori culturali, pesa come piombo. Loro sono la memoria che, in zona mediorientale, per secoli la gente s'è incontrata, mescolata, scambiata esperienze. A volte sono stati cazzotti e lacrime, spesso ricettari quasi in comune, parole che fluttuavano come semenze in volo da una lingua all'altra, e tanto altro ancora. Ecco allora che Taverne, Café Amán e Tekés ci racconta ancora una volta la storia di città dove era ben facile trovare da bere e da gustarsi la vita, di transiti di ebrei sefarditi, greci, egiziani, armeni, e via citando. Una bella bastonata sulla testa fragile della tolleranza arrivò con la guerra turco- greca del 1922 (peraltro, guarda caso, la stessa data d'inizio del regime del Mascellone in Italia), tant'è che ne scaturirono generazioni di dropouts greci che per i loro conterranei erano troppo turchi, e per i turchi troppo greci, e s'inventarono il loro blues, il Rebetiko. Il Quintetto è in gran forma, plettri e fiati e pelli ad inseguire belle contorsioni sonore da danza del ventre - e oltre - sono stati lustrati a dovere. Non c'è il Trallalero, come nel precedente Galata, ma è garantita comunque un bella schiera di ospiti eccellenti, a impreziosire di dettagli vocali e strumentali il tutto. E i testi tradotti in italiano aiutano ad entrare nello spirito, se non nella lettera. (Guido Festinese)